io racconto

Le Crociate non le ho viste

Questo è un silenzio totale, un’intera città imbavagliata, uscire per la strada è come muoversi in un acquario, i pesci si incrociano ma non si fermano, non si sfiorano, non si guardano.

Grazia Valente

Il macellaio era vicino alla farmacia, ecco il motivo per cui sono entrata per comperare la carne. Quando mi ha visto, corredata di basco, occhiali e mascherina, mi ha accolto con: "lei ha già visto tutto, eh?" Colpo al cuore. Avrei voluto rispondergli che io le Crociate non le avevo viste, ma figuriamoci se avrebbe capito il sarcasmo, così ho fatto un mezzo sorriso. Gli spiedini erano buoni, ma preferisco ritornare dall’altro macellaio, che fa spiedini troppo piccoli e con troppo wurstel ma mi saluta con "Buongiorno bella signora!" Vuoi mettere, quanto ci guadagna l’autostima?

Io ci scherzo sopra, ma questi giorni strani, con il silenzio che avvolge ogni cosa, fanno quasi paura. Eppure al silenzio sono abituata, da quando vivo sola. Ma questo non è più il silenzio che abita nella mia casa, un silenzio sereno, fatto di una solitudine “arricchita dal pensiero”, come ha scritto un grande filosofo tedesco. Questo è un silenzio totale, un’intera città imbavagliata, uscire per la strada è come muoversi in un acquario, i pesci si incrociano ma non si fermano, non si sfiorano, non si guardano.

All’inizio, le pulizie della casa, raccomandate, mi hanno assorbito. Era quasi divertente, passare e ripassare piumini e stracci da pavimento. Poi è arrivata la sciatica, cara amica che mi lasciava in pace da sei anni. Colpa delle borse della spesa troppo cariche, per limitare le uscite. Colpa delle passeggiate proibite. E allora ginnastica, ginnastica e camminate da una stanza all’altra, percorrendo non so quante volte la superficie di 80 metri quadrati dell’appartamento. E borse della spesa più leggere, con qualche uscita in più al supermercato. A volte vorrei che qualche controllore mi fermi per la strada per chiedermi dove sto andando, e potergli così rispondere: alla deriva, caro signore, sto andando alla deriva.

Questo virus è ovviamente di sesso maschile (sottile ironia) e di quel tipo d’uomo che odia le donne. Come spiegare diversamente la grave offesa di averci tolto il parrucchiere, l’estetista, la tintoria? Le frivolezze che rendono accettabile la vita, anche a una certa età? Con i capelli in disordine, pedicure e manicure senza controllo, indumenti lavati in casa, chi poserà più lo sguardo su di noi?
Ritornare a essere schiave, il desiderio segreto di qualunque uomo (ironia)!

I miei parrucchieri cinesi sono fantastici, due giovani dinoccolati con l’aria da intellettuale, subentrati da poco, con una grazia e delle movenze mentre tagliano i capelli da ballerini classici: i Bolle dell’acconciatura. Temo che non riapriranno, dovevano ancora farsi i clienti, troppo bravi per questa zona, un giorno gliel’ho detto, qui siete sprecati.
Anche la tavola calda, dove spesso andavo a pranzare, non so se riaprirà. Anche loro subentrati da poco facevano fatica ad avviare l’attività. Erano due coppie di giovani, quante speranze, quante aspettative avranno avuto!

Non amo molto, tra i lavori di casa, spolverare le librerie. Troppi libri e posizionati in alto, ieri uno mi è quasi caduto sulla testa: Splendori e miserie delle cortigiane, di Balzac. Diavolo di un uomo. Lui, critico letterario oltre che scrittore, paragona i critici del suo tempo alle cortigiane che ormai "giungono a una assoluta indifferenza circa le forme esteriori dell’uomo", così come il critico, il quale "arriva a una profonda noncuranza per le forme d’arte: ha letto tante opere, si è talmente abituato alle pagine scritte, …. scritto tanti articoli senza dire quello che pensava …". La grandezza di scrittori come Balzac sta nel fatto che puoi aprire un loro libro in qualunque pagina e troverai sempre qualcosa di interessante.

Che cosa hai fatto oggi? mi chiede l’amica al telefono.
Ho guardato sul Terzo: I Grandi della letteratura italiana. C’era Pavese.
Ah, risponde lei, scommetto che hanno parlato subito del suicidio.
E’ vero, rispondo. Quasi subito.
Non bisognerebbe mai suicidarsi, prosegue con un certo cinismo. Il suicidio te lo porti addosso per sempre.

Il bollettino del virus segnala che nella mia regione, il giorno 2 di
aprile, i decessi sono stati 983, 97 in più del giorno precedente. Il  Teatro Carignano ha una capienza di 875 posti, quindi un intero teatro più un centinaio di posti nel foyer. Persone con una loro vita, con i loro affetti, con la loro storia, sparite così, probabilmente senza un saluto, senza un ultimo abbraccio da parte dei familiari. Non so se di tutto questo si possa dare una lettura filosofica, o religiosa, o sociologica. Non sono certo io, in grado di farlo.

Sembra sia in atto, tra i cittadini, un effetto saturazione per quanto riguarda il virus. Lo dicono le scelte dei programmi televisivi, che si spostano dai notiziari ai programmi di intrattenimento. Credo che questo atteggiamento farà bene alla salute psichica delle persone: quando si è fatto tutto ciò che era possibile fare, non rimane che attendere con fiducia, senza inutili isterie. Forse, ci stiamo assuefacendo. La capacità umana di adattamento è formidabile.

Poi però arriverà il Dopo, quando sarà il momento di ricostruire, di rimettere insieme i pezzi. Questo mi fa ricordare l’arte praticata in Giappone di riunire i cocci di un oggetto rotto facendone un’opera d’arte, di cui avevo letto tempo fa. Il nome di questa tecnica di restauro è Kintsugi: i pezzi rotti vengono incollati e attraverso le loro linee di frattura, che vengono evidenziate dipingendole con l’oro, l’oggetto riprende nuova vita. Una grande lezione filosofico-esistenziale.
Riusciremo a praticarla?

Questa mia piccola testimonianza è poco più di una visione effettuata da un forellino nella porta che dà sull’esterno. Il mondo là fuori è enormemente più grande e più complesso. Qualcuno un giorno racconterà tutto questo ai figli o ai nipoti, troppo piccoli per ricordare.
Mi accade spesso di sentire il mio vicino di casa che fa lezione al figlio che frequenta la seconda elementare. Sento la voce alta del papà e quella squillante del bambino che risponde. Non si tratta di una conversazione qualsiasi, è cattedratica, se così si può dire, e inizia nel momento stesso in cui mettono piede in casa.
Il futuro ce lo dobbiamo costruire noi.

Centro studi Piero Gobetti

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