Ci si potrebbe chiedere perché abbiamo scelto di parlare oggi di “libertà” come valore fondamentale nella concezione dei Diritti Umani tramite un libro del 1926. Le problematiche legate alla tutela dei diritti di libertà sembrano infatti adesso molto lontane rispetto alla soppressione delle libertà fondamentali vissuta durante il fascismo. Quando Ruffini scrisse questo testo –utilizzando le sue stesse parole– il regime fascista stava “scavando la tomba allo Stato liberale”[1], era quindi necessario reagire a una minaccia diretta e urgente, anche se furono in pochi in quel momento storico ad averne il coraggio (il giovane editore Piero Gobetti ebbe la fermezza di pubblicare un libro che il maturo professore ebbe il coraggio di scrivere) [2]. Oggi, invece, lo Stato liberale sembra aver prevalso almeno in Occidente, ma le libertà fondamentali sono sempre sottoposte a pressioni e minacce, magari indirette o velate da politiche securitarie. Spesso i cittadini delle democrazie liberali non sono coscienti dei pericoli rivolti alle loro libertà: non esistono infatti solo minacce esterne come le guerre a rendere visibili questi pericoli (si pensi all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia), ma lo stesso Stato di diritto che caratterizza le democrazie liberali può talvolta vivere fasi –più o meno consapevoli– di sospensione delle libertà (si consideri, ad esempio, l’uso/abuso delle misure cautelari, dell’ergastolo ostativo e finanche, in alcuni Stati “liberali”, della pena di morte). È ormai noto che alcune delle democrazie considerate “liberali” sono in realtà delle vere e proprie autocrazie, in cui lo Stato di diritto se non proprio annullato è perlomeno sospeso, così come lo sono alcuni diritti fondamentali dei cittadini. Dinanzi a questi pericoli, però, sono poche le reazioni della politica internazionale e sono pure insufficienti le risposte dell’opinione pubblica. Come vedremo attraverso l’analisi del testo di Ruffini questi aspetti sono legati fra loro, infatti, non c’è libertà fondamentale senza solidarietà che sia al contempo tutela dei propri diritti e dei diritti altrui.
Vedere in questi mesi migliaia di cittadini iraniani manifestare rischiando la vita in nome delle libertà e dei diritti, ci fa comprendere che ancora oggi proprio come ieri c’è chi costantemente lotta per affermare i propri diritti. Questo è uno degli aspetti che Ruffini ha posto in maniera chiara con la sua opera dedicata ai “Diritti di libertà” ed è ciò che rende ancora oggi questo libro attuale: per la garanzia delle libertà fondamentali bisogna sempre lottare e affinché i propri diritti siano davvero esigibili non bisogna abbassare il livello di attenzione e vigilanza dell’opinione pubblica. Per Ruffini, quindi, Stato di diritto e vigilanza “dal basso” del rispetto delle libertà erano (e sono tutt’oggi) le chiavi per garantire l’efficacia dei diritti di libertà come diritti fondamentali.[3]
I diritti di libertà erano concepiti da Ruffini in quel momento storico come “elementi di elevazione politica” contro l’assolutismo del fascismo che stava portando l’Italia –tramite l’oppressione delle libertà fondamentali– ad un pericoloso isolamento costituzionale: isolati dal mondo, anche sotto l’aspetto politico-costituzionale (il caso tragico della Germania informi) non si può più vivere ormai, se non pericolosamente![4]. Tra le libertà fondamentali minacciate dal fascismo Ruffini individua soprattutto la libertà di culto e la libertà di stampa. Libertà queste che venivano continuamente svilite nell’Italia fascista e che già non vedevano un grande riconoscimento nello Statuto Albertino del 1848 che era secondo Ruffini fra “le più succinte e monche elencazioni dei Diritti di libertà”: vi manca invero, come diremo, la proclamazione di una piena libertà di coscienza e di culto; vi manca quella della libertà di associazione, e perfino la sanzione del segreto epistolare [5]. Ruffini rimarca, inoltre, come il nuovo regime italiano della stampa e della libertà religiosa –tramite anche l’influenza dell’onorevole Rocco– seguiva il modello dei cosiddetti «diritti riflessi» della dottrina imperiale germanica [6]. Questa dottrina giuridica, che era particolarmente statalista, considerava i diritti soggettivi non come le possibilità, facoltà, libertà, di cui gli individui possono godere in quanto cittadini e fondamentalmente esseri umani, ma come diritti riflessi e derivati dal diritto oggettivo, ossia dalle norme dello Stato. Questi diritti venivano quindi concessi per cortese possibilità dallo Stato come se questo fosse un astro maestoso al centro di un sistema di infiniti, minuscoli pianeti: gli Individui […] E soltanto da esso si irradia una qualche luminosità su quei poveri pianeti privi di luce propria: per riflesso. [7]
Nella concezione dei diritti fondamentali proposta da Ruffini non è quindi più la mera limitazione volontaria dello Stato o il riflesso del suo potere a determinare e permettere l’evolversi dei diritti degli individui, come diritti concessi dall’alto, ma è proprio nei limiti connaturali allo Stato di Diritto che si ritrova il fondamento giuridico dei diritti di libertà: Quella dello Stato […] è per rispetto ai Diritti di libertà dei cittadini, non una limitazione volontaria […], sì bene una limitazione necessaria e congenita. Di qui l’intangibilità, di qui l’imprescrittibilità di tali Diritti di libertà: finché si intende, un vero Stato di diritto e, potremmo dire uno Stato sia [8]. Per Ruffini quindi non vi è un vero Stato che possa dirsi “democratico liberale” che non sia uno Stato di diritto, ossia uno Stato fondato sul diritto, conforme al diritto, e soggetto al diritto, il quale quindi eleva il diritto a condizione fondamentale della sua esistenza e che determina i limiti del suo operare e dell’azione dei cittadini con norme di diritto. [9]
Queste preziose riflessioni teorico giuridiche di Ruffini sono ancora molto utili nel panorama contemporaneo dei diritti fondamentali. Tutt’oggi, infatti, a fare la differenza tra una vera democrazia (liberale) e le autocrazie (o le teocrazie, nel caso dell’Iran) è proprio il rispetto dei diritti fondamentali tramite il principio cardine dello Stato di diritto. Ruffini non si limita però solo ad accreditare l’aspetto della “legalità” formale come garanzia dei diritti di libertà, ma ne indaga e ne risalta soprattutto la loro efficacia ed esigibilità: quello che più importa, in fatto di Diritti di libertà, non è tanto la loro solenne proclamazione teorica […] quanto la concreta determinazione dei mezzi pratici atti ad assicurare l’osservanza [10].
Questa è un’altra delle straordinarie chiavi di lettura che l’opera offre al dibattito attuale sui Diritti Umani. Come sosteneva Ruffini, infatti, se i diritti umani devono poter essere considerati veri e propri diritti fondamentali è sempre necessaria una loro concreta esigibilità. I tribunali superiori, le corti specializzate, tutti quei mezzi pratici di cui parlava Ruffini non sempre accompagnano la proclamazione valoriale e normativa dei diritti umani, questi infatti in alcuni casi rimangono tutt’oggi solo dei diritti sulla carta e non diventano diritti in azione, ossia diritti sempre esigibili dai cittadini, realmente utili e spendibili nella loro vita quotidiana. La necessità di una esigibilità pratica dei diritti di libertà risultava già a Ruffini indispensabile per considerarli veri e propri diritti fondamentali e non solo vuote proclamazioni legislative. Per questo Ruffini denunciava tristemente che con l’antiliberalismo promosso dal fascismo i diritti di libertà erano diventati per la cittadinanza praticamente inesigibili: La famosa invocazione del mugnaio tedesco contro la sopraffazione che un despota, Federico il Grande, tentava ai suo danni: «Ci sono ancora giudici a Berlino», non potrà più avere eco alcuna presso di noi. [11]
La struttura teorica dei diritti di libertà come diritti fondamentali proposta da Ruffini non si basava quindi solo sulla dimensione contrattuale del “patto” e sulla legalità dello Stato di diritto, ma anche sulla pratica concretezza che faceva dei diritti di libertà veri e propri diritti soggettivi privilegiati. Non più solo concessioni dall’alto o autolimitazioni dello Stato ma, per usare una formula cara a Bobbio, diritti in cui il diritto svolge non solo una funzione di limite ma anche una una funzione promozionale[12]. Pur avendo chiara, dunque, l’importanza dell’ordinamento giuridico dello Stato per la garanzia dei diritti, Ruffini con la sua opera ribadisce più volte che i diritti di libertà non nascevano però solo dallo Stato, ma dalla forza creatrice delle lotte degli individui. Sono proprio queste lotte che hanno permesso ai diritti di libertà di passare dall’essere principalmente dei diritti di resistenza (si pensi alle cosiddette libertà negative “concesse” all’individuo con cui ci si “limitava” a resistere al potere organizzato dello Stato o degli altri individui) all’essere veri e propri diritti fondamentali utili per l’esercizio attivo della cittadinanza. Questa trasformazione appare evidente nell’evolversi delle tipiche libertà fondamentali: La storia ci mostra, invero, che alcune specifiche e ben distinte libertà i cittadini […] propugnarono, conquistarono, difesero a prezzo di fierissime lotte, cominciando appunto da quella della religione. Onde, coteste essenziali, tipiche, storiche libertà hanno acquistato nella vita delle nazioni […] una loro posizione spiccata, una loro figura un loro nome [13].
Ruffini –seguendo la concezione proposta da Santi Romano– ribadisce pertanto che il diritto non si indentifica con lo Stato o con il solo potere legislativo[14], ma è l’insieme dei poteri degli individui, delle organizzazioni, delle forze, delle istituzioni che formano un ordinamento giuridico. Il solo diritto però, secondo il nostro autore, non garantisce di per sé né la creazione, né il funzionamento dell’apparato dei diritti fondamentali. Senza la forza creatrice (e liberatrice in senso gobettiano) degli individui e senza l’appoggio della società le libertà fondamentali sono costantemente a rischio. Per questo motivo, coscienza sociale e opinione pubblica sono vitali nell’esercizio dei diritti fondamentali: È di tutta evidenza che uno Stato, legato al diritto, lo è attraverso ad esso, anche l’opinione pubblica; poiché il diritto vi è considerato, non più come frutto dell’arbitrio sovrano, ma come emanazione della coscienza sociale, che si esprime con le forme dell’opinione pubblica [15]
Uno dei contributi fondamentali dell’opera di Ruffini consiste proprio nell’aver messo in luce che per garantire le libertà fondamentali non bastano le mere “guarentigie” giuridiche, ma sono essenziali e necessarie anche quelle “politiche”. Per il rispetto dei diritti fondamentali era (ed è) indispensabile il supporto dell’opinione pubblica a partire dal principio della piena libertà di stampa (libertà che venne subito repressa, invece, dal fascismo come la vicenda di Gobetti ci indica). Secondo Ruffini, pubblica non può dirsi l’opinione se non per la via della stampa. Opinione, pubblicità, stampa, libertà: ecco i requisiti essenziali di ogni vivere civile […]. La libertà di stampa ha dunque, a differenza di tutti gli altri diritti fondamentali, un duplice pregio, e in se stessa, vale a dire, e poi come presupposto e guarentigia di tutte le altre.[16]
In conclusione, l’opera di Ruffini ci mostra come ancora oggi la libertà sia un valore fondamentale nella concezione giuridica e politica dei diritti umani e per questo è costantemente un ideale da tutelare e vigilare. La garanzia delle libertà fondamentali spetta al diritto, ma un secondo compito altrettanto importante compete alla società e all'opinione pubblica. Il controllo dal basso, l'attivismo e la verifica continua del rispetto di quei diritti fondamentali cruciali nelle nostre vite, come nel caso appunto dei diritti di libertà, è da parte di tutti una responsabilità, una funzione condivisa e imprescindibile di vigilanza e denuncia, senza la quale l'apparato giuridico dei diritti umani non potrebbe essere efficace.
La storia di quest’opera, del suo editore e del suo autore sono iconiche in tal senso. Come affermò Piero Calamandrei –che nel 1946 scelse appunto di ripubblicare “Diritti di libertà” considerando quest’opera un sostegno indispensabile ai lavori della costituente– il libro non appena pubblicato nei primi mesi del 1926 sparì dalle vetrine e diventò quasi subito introvabile, ridotto […] alla stampa clandestina [17]. L’11 novembre del 1925, infatti, il prefetto di Torino aveva prescritto la cessazione definitiva delle pubblicazioni della casa editrice Piero Gobetti per “attività nettamente antinazionale”. Il giovane Piero morirà il 15 febbraio del 1926 a Parigi da esule, allontanatosi da Torino dopo le violenze dei fascisti con la speranza di proseguire l’attività editoriale e salvaguardare –quello che pure Ruffini considerava il fondamentale diritto di libertà– la libertà di stampa e di opinione. Anche la vita di Ruffini –proprio come quella di Gobetti– sarà una di quelle esistenze esemplari spese sempre in difesa di un ideale: la libertà. Ideale che il professore universitario ha seguito sia nelle sue opere e nei suoi corsi, che nella sua vita personale e politica. In tal senso, Norberto Bobbio riporta un discorso di Ruffini in Senato (In difesa delle pubbliche libertà, 19 novembre 1925), davvero esemplificativo di questa fede per la libertà:
la libertà non rappresenta per me soltanto il supremo dei miei ideali di cittadino, ma quasi la stella polare a cui si è indirizzata sempre quella qualunque mia attività […] ed è la stessa ragione della mia vita spirituale.[18]
Note:
[1] Francesco Ruffini, Diritti di libertà, Torino, P. Gobetti Editore, 1926, p. 23.
[2] Questo libro rappresenta un filo conduttore tra lo stesso Gobetti e Norberto Bobbio, un altro dei "maestri" in tema di diritti umani, tra i fondatori del Centro studi Piero Gobetti. Entrambi di Ruffini furono, in tempi diversi, allievi e ammiratori della concezione giuridica e politica volta sempre alla difesa della “libertà”. Come ricorda Bobbio il giovane Piero si rivolse a Ruffini per trattare il tema dell’istituto della proporzionale nel numero del 1° febbraio 1925 di “Rivoluzione Liberale” al quale collaborarono anche Luigi Sturzo e Salvemini. Ma, come ancora evidenzia Bobbio, Gobetti animato dalla difesa dei principi dello Stato liberale contro le minacce provenienti dal fascismo coinvolse Ruffini in “qualche cosa di più di un articolo”, propose a Ruffini di pubblicare un libro dedicato ai Diritti di Libertà. Il giovane Gobetti ammirava già molto la concezione in tema di libertà di Ruffini – che fu suo professore di Diritto ecclesiastico all’Università di Torino– il cui libro “La libertà religiosa” venne definito da Piero come il “più informato che la nostra letteratura abbia sull’argomento”.
Cfr. Norberto Bobbio, L'ombra di Francesco Ruffini, Nuova antologia, gen.-mar. 1986, pp. 37-49.
Cfr. Francesco Ruffini, Diritti di libertà; postfazione di Mario Dogliani, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2012, pp. 231-251.
Cfr. Francesco S. Sbalchiero, Gobetti, Ruffini e il libro “Diritti di libertà”, 19 giugno 2021, https://www.eventidimenticati.it/2021/06/19/gobetti-ruffini/
[3] Il libro di Ruffini, pur non essendo in fondo un testo molto esteso, ha il pregio di raccogliere in una sola opera tre dimensioni distinte ma collegate tra loro: una caratteristica cruciale nella trattazione dei diritti fondamentali. “Diritti di libertà” è un libro che inevitabilmente affronta le problematiche del contesto politico in cui è nato; è un libro di diritto comparato, il testo è corredato infatti da un’ampia appendice di documenti e testi costituzionali; ed infine, ma non meno importante, è un libro di teoria giuridica nella parte in cui Ruffini ricerca il “fondamento giuridico dei diritti di libertà”.
[4] Francesco Ruffini, Diritti di libertà, Torino, P. Gobetti Editore, 1926, p. 65.
[5] Ivi, p. 38.
[6] Ivi, pp. 102-119.
[7] Ivi, pp. 120-131.
[8] Ibidem.
[9] Con lo Stato di Diritto si vedono superati “i termini della secolare antitesi “tra libertà degli individui ed autorità dello Stato, “essi risultano ormai risolti ed assorbiti da un terzo termine, quello di legalità”. Ruffini continua a risaltare come “Individuo e Stato” furono dalla concezione dello Stato di Diritto “posti su una stessa linea”. E “come lo Stato non potrebbe violare il diritto del cittadino” perché ciò significherebbe “negare se stesso come organo supremo e specifico del diritto”, così il cittadino è sottoposto alla legalità in quanto deve osservare le norme dello Stato di Diritto e i diritti di tutti gli individui perché non farlo significherebbe “negare se stesso e cioè la sua stessa libertà”. Ivi, pp. 58–60.
[10] Ivi, p. 56.
[11] Ibidem.
[12] Lo Stato di diritto ha permesso –tramite la garanzia giuridica, l’esigibilità “pratica” e la promozione dei diritti– il superamento della concezione dei primi diritti di resistenza (in cui gli individui dovevano tramite i diritti resistere al potere supremo dello Stato), superando così “l’antica concezione dualistica dello Stato (sudditi e e sovrano)” a cui “si è venuta sostituendo una concezione unitaria, e cioè l’identificazione fra Popolo e Stato, mercé sopra tutto l’attuazione della piena sovranità popolare e l’instaurazione di un vero regime costituzionale e parlamentare”. Ivi, p. 59.
[13] Ivi, p. 114.
[14] “Il legislatore non è, pertanto, il creatore del Diritto, nel senso pieno ed assoluto della parola, cioè il suo primo creatore.”. Ivi, pp. 55 e ss.
[15] Ivi, p. 60-65.
[16] Ibidem.
[17] Francesco Ruffini, Diritti di liberta, 2. ed., con introduzione e note di Piero Calamandrei (L’avvenire dei diritti di libertà), Firenze, La nuova Italia, 1946.
[18] Norberto Bobbio, L'ombra di Francesco Ruffini, op. cit., p. 37-49. Cfr. N. Bobbio Funzione civile di un insegnamento universitario, Firenze, Estr. da: Il Ponte A. 5, n. 8-9 (ago.-set. 1949), La Nuova Italia, 1949, pp. 1124-1131.
Francesco Ruffini fu uno dei pochi docenti universitari (insieme al figlio Eduardo, professore di Storia del Diritto all’Università di Perugia) a non prestare giuramento al fascismo nel 1931, per questo fu minacciato, perseguito e malmenato. I cardini del suo insegnamento a partire dalla libertà di culto e di stampa, hanno lasciato una traccia indelebile nei suoi allievi e nel panorama politico e giuridico del nostro paese.