Dalla lezione di Norberto Bobbio, La natura del pregiudizio, da lui pronunciata in apertura del corso omonimo tenuto all’Istituto tecnico industriale Amedeo Avogadro dal 5 novembre al 17 dicembre 1979, nell’ambito del programma “Torino Enciclopedia – Le culture della città[1].
Il pregiudizio collettivo è l’atteggiamento che un gruppo assume di fronte agli individui di un altro gruppo. Si può aggiungere che quasi sempre il gruppo di fronte al quale si forma un pregiudizio ostile è una minoranza. Il pregiudizio di gruppo è generalmente un pregiudizio della maggioranza nei confronti di una minoranza. Tipico in questo senso il pregiudizio razziale. Vittime del pregiudizio di gruppo sono di solito le minoranze etniche, religiose, linguistiche, ecc. Prova ne sia che altro è l’atteggiamento del cattolico nei confronti dei protestanti o degli ebrei in genere, altro è lo stesso atteggiamento quando il protestante, come fu il caso dei Valdesi in Piemonte in epoche storiche ora fortunatamente superate, o quando l’ebreo, come fu per secoli il caso dell’istituzione dei ghetti, costituiscono una minoranza in seno a una maggioranza. Lo stesso si può dire per il pregiudizio nei riguardi dei meridionali: questo è tanto più forte quanto più essi in seguito al fenomeno dell’emigrazione vengono a costituire una minoranza inserita in una maggioranza. Così per le minoranze linguistiche: non vi è alcun pregiudizio in generale contro i diversamente parlanti, mentre il pregiudizio può nascere quando i diversamente parlanti sono un’isola ristretta in un ambiente più vasto che tende naturalmente a far prevalere il proprio modo di parlare su quello delle minoranze.
Se è vero che il pregiudizio di gruppo colpisce generalmente le minoranze, vi è almeno una eccezione che ci deve far riflettere. La serie di pregiudizi antifemminili degli uomini non riguardano una minoranza: quanto al numero le donne sono su per giù come gli uomini e non vivono mai nei riguardi degli uomini in gruppi minoritari. Ho già detto che tra uomini e donne vi sono diseguaglianze naturale che sarebbe sciocco dimenticare. Ma è un fatto che molte delle diseguaglianze fra la condizione maschile e quella femminile sono d’origine sociale, tanto è vero che i rapporti fra uomo e donna cambiano secondo le diverse società. L’emancipazione della donna cui assistiamo in questi anni è un’emancipazione che deve farsi strada anche attraverso la critica di molti pregiudizi, cioè di veri e propri atteggiamenti mentali che sono radicati nel costume, nelle ideologie, nella letteratura, nel modo di pensare della gente, tanto radicati che essendosi persa la nozione della loro origine coloro che continuano ad averli ritengono in buona fede che siano giudizi fondati su dati di fatto.
Proprio perché questi pregiudizi che si sono frapposti tra l’uomo e la donna riguardano la metà del genere umano e non soltanto piccole minoranze, è da ritenere che il movimento per l’emancipazione della donna e per la conquista da parte della donna della parità dei diritti e delle condizioni sia la più grande (io sarei persino tentato di dire l’unica) rivoluzione del nostro tempo.
Il pregiudizio è da combattere per le sue conseguenze. Quali conseguenze? Le conseguenze nocive del pregiudizio si possono distribuire in tre livelli diversi, che distinguo per grado di gravità o d’intensità.
Si comincia dalla discriminazione giuridica. In tutte le legislazioni moderne esiste un principio secondo il quale «tutti sono eguali di fronte alla legge». Questo principio vuol dire che tutti debbono godere degli stessi diritti. Uno degli effetti di una discriminazione è che alcuni sono esclusi dal godimento di certi diritti. Poiché abbiamo parlato poc’anzi della questione femminile, ecco che ci soccorre un esempio molto facile e illuminante: sino al 1946, in Italia, le donne erano escluse dal voto, cioè non godevano di un diritto di cui godevano gli uomini. Si trattava di una vera e propria discriminazione, che aveva come conseguenza naturalmente una menomazione. Quando scoppiò anche in Italia la campagna contro gli ebrei durante gli ultimi anni del regime fascista, la prima conseguenza di questa campagna fu la privazione, inflitta a coloro che erano considerati di razza ebraica, di alcuni diritti di cui avevano goduto come tutti gli altri italiani prima della discriminazione. Anche in questo caso vi era un gruppo che non era più eguale agli altri rispetto a certi diritti.
Una seconda conseguenza della discriminazione è l’emarginazione sociale. L’esempio classico è il ghetto in cui furono rinchiusi gli ebrei per secoli nel mondo cristiano. Ma anche se non istituzionalizzati, ghetti di minoranze etniche o sociali ce ne sono in tutte le grandi città. Si pensi ai quartieri negri, come Harlem, nelle città americane, o alle bidonville che circondano le metropoli. La forma estrema di emarginazione è quella che si esercita nelle cosiddette istituzioni totali, come le prigioni o i manicomi. Anche in questo caso il processo di emancipazione coincide con la individuazione di una discriminazione, e la individuazione di una discriminazione è spesso l’effetto di una presa di coscienza del pregiudizio. Rispetto al rapporto uomo-donna, oggi spesso se pure in forma polemica la casa dove è stata relegata per secoli la donna viene paragonata a una sorta di ghetto, che ha contrassegnato anche fisicamente, spazialmente, l’emarginazione sociale della donna.
La terza fase del processo di discriminazione è la persecuzione politica. Qui intendo per persecuzione politica l’uso anche della forza per schiacciare una minoranza di diseguali. Rappresenta in modo drammatico questa terza fase lo sterminio degli ebrei e di altre minoranze, come per esempio gli zingari, perpetrato dal regime nazista.
So bene che dovrei terminare questa mia lezione rispondendo alla domanda: «Ma se il pregiudizio reca tanti guai all’umanità, è possibile eliminarlo?». Permettetemi di dirvi molto francamente che a una domanda del genere non ho alcuna risposta. Purtroppo. Chiunque conosca un po’ la storia degli uomini, sa che di pregiudizi nefasti che ne sono sempre stati e che anche quando alcuni di essi vengono superati ne sorgono subito degli altri.
Posso dirvi soltanto una cosa: i pregiudizi nascono nella testa degli uomini. E bisogna combatterli nella testa degli uomini, cioè con lo sviluppo delle conoscenze, e quindi con l’educazione, attraverso la lotta incessante contro ogni forma di settarismo. Pensate un po’: vi sono uomini che si ammazzano per una partita di calcio. Dove nasce questa passione se non nella testa della gente? Non è un toccasana, ma credo che la democrazia possa servire a questo: la democrazia, vale a dire una società in cui le opinioni sono libere e quindi sono costrette a scontrarsi e scontrandosi a depurarsi. Per liberarsi dai pregiudizi, gli uomini hanno bisogno prima di tutto di una cosa: di vivere in una società libera.
Note:
[1] Originariamente pubblicata nel volumetto omonimo, La natura del pregiudizio, Città di Torino, Regione Piemonte, s.d. [ma: 1982], pp. 2-15; poi in N. Bobbio, Elogio della mitezza, Linea d’ombra, Milano, 1994; Pratiche, Milano, 1998; Il Saggiatore, Milano, 2014, con una prefazione di Andrea Bobbio e una appendice di saggi critici; ora in P. Polito, Un’altra Italia, Aras edizioni, Fano 2021, pp. 231-249, con un commento dell’autore, pp. 172-177.