La pace è una scelta razionale
di Dario Delpero e Pietro Polito

 

* Le citazioni sono tratte da due lavori di Norberto Bobbio: Il problema della guerra e le vie della pace (1979), Il Mulino, Bologna, Quarta ed. 1997 e la voce Pace, in Enciclopedia del Novecento, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1989.

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Vorrei che dopo tante sottili disquisizioni intorno alla massima “Il fine buono salva anche il mezzo più cattivo” si cominciasse a riflettere seriamente se non sia il caso di raccomandare la massima opposta “Il mezzo malvagio corrompe anche il migliore dei fini”.

Norberto Bobbio, Il fine e i mezzi, in “La Stampa”, 18 giugno 1978.

 

A due anni dall’aggressione russa all’Ucraina e in seguito alla ingiustificabile strage terroristica di Hamas in Israele del 7 ottobre e alla successiva distruzione della striscia di Gaza ad opera israeliana, la pace ha cessato di essere percepita come qualcosa di normale. Proponiamo una riflessione sulla pace come scelta razionale: il fine della politica è la pace e non è mai la guerra. La politica è pace.

La scelta tra la pace e la guerra è una scelta che può essere compiuta indifferentemente in base alle diverse situazioni storiche o in base alle nostre preferenze ideologiche o politiche? Non è questa la posizione del pacifismo. Anche se in tutti i tempi la guerra è stata esaltata e la pace vituperata, l’opzione tra il pacifismo, che mira alla pace di soddisfazione, e l’imperialismo, che si accontenta della pace d’impero (la distinzione è di Hans Kelsen), non è una scelta che si compie in base alle proprie individuali preferenze. Infatti, come ha scritto Norberto Bobbio, esiste almeno un argomento razionale a favore della preferibilità della pace, che non può essere contestato, perché trae conferma dall’intero corso della storia dell’umanità: “Nella visione globale della storia la pace finisce per essere un valore in ultima istanza superiore alla guerra: nella sua necessità la guerra è pur sempre un male, nella sua insufficienza la pace è pur sempre un bene”.

Si avverte qui un forte e duplice richiamo alla lezione di Hobbes e a quella di  Kant. Se ci riferiamo a quanto in modo paradigmatico ci ha insegnato il teorico della guerra come male assoluto, non possiamo non prendere atto che la guerra è sempre stata identificata con lo stato di natura, cioè con “lo stato iniziale” della storia dell’umanità. Anche qualora fosse considerata come lo “stato finale” – aggiunge Bobbio –,  la guerra non è mai stata vista come “una meta ideale ma come una caduta, non come la salvezza ma come la perdizione dell’umanità”. D’altra parte, come ci ha insegnato il filosofo della «pace perpetua», Kant, la guerra resta pur sempre un mezzo, mentre la pace è il fine cui l’umanità deve tendere. Se consideriamo più da vicino l’opposizione tra il pacifismo e il bellicismo risulta evidente che “mentre il fine che si propone il pacifista è l’eliminazione della guerra, il fine che si propone il bellicista non è l’eliminazione della pace”. Quale senso mai potrebbe avere una teoria che considerasse come una meta altamente desiderabile per l’umanità la guerra perpetua? In che modo razionale la guerra potrebbe essere considerata un fine e non un mezzo?

L’ideale di una pace perpetua, nel senso di durevole e universale, ha trovato la sua prima e forse più alta espressione nell’ideale kantiano. Insieme realista e pessimista, Bobbio sa perfettamente che “la pace perpetua è un processo lungo e forse destinato a rimanere incompiuto”. Ciò nulla toglie al significato storico e ideale del “progetto” di rendere “perpetua” la pace, vale a dire — spiega ancora Bobbio – “di rendere per la prima volta possibile un mondo in cui la guerra sia cancellata per sempre come modo per risolvere le controversie fra gli Stati”.

Per un pacifista giuridico come Bobbio, la pace “non è una pace qualsiasi” ma è una pace durevole o addirittura, per usare l’espressione di Kant, perpetua e universale. Come ognuno può vedere si tratta di due connotati formali: la durata e l’universalità. Perché vi sia pace — ecco la tesi di Bobbio — è necessario che la pace sia durevole e che, almeno tendenzialmente, sia universale. In sintesi la pace dei pacifisti giuridici non è una tregua tra due guerre ma è una pace duratura. Inoltre non può essere circoscritta a un determinato gruppo di stati ma tendenzialmente “deve essere mondiale”.

Se si volesse indicare con una unica formula definitoria la concezione della pace di e per Bobbio, non si potrebbe trovare una espressione più felice di quella adottata da Umberto Campagnolo per esprimere il nucleo ideale del programma della Società Europea di Cultura: “la pace che non abbia la guerra come alternativa”. Con una differenza fondamentale. Bobbio non segue Campagnolo quando questi affida la ricerca di una soluzione del problema della pace a un’altra forza – opposta alla forza degli stati –, la forza dei popoli. Il pacifista giuridico rimane scettico rispetto all’idea che “i popoli, una volta divenuti consapevoli della loro forza, non tarderanno a scoprire che tocca a loro il compito di costruire la pace” e affida le speranze di pace al rafforzamento delle istituzioni sovranazionali e allo sviluppo della democrazia internazionale. 

 

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