Difesa storica della proporzionale

di Piero Gobetti
(La Rivoluzione Liberale, anno IV, n.5, 1 febbraio 1925)

In Italia le questioni costituzionali continuano ad essere considerate come questioni di forma come se tutti i popoli non avessero fatto la prova delle loro attitudini all'autogoverno e delle qualità diplomatiche nella creazione dei congegni elettorali più adatti a condizioni storiche specifiche e nella coordinazione degli istituti statali e delle iniziative libere.

Il collegio uninominale fu il sistema ideale in un paese (l'Inghilterra) che aveva rinunciato al feudalismo per garantirsi contro un sovrano statolatra; é ancora economicamente e politicamente una forma feudale, presuppone il voto limitato e l'esistenza di una classe aristocratica, si adatta ad un tipo di vita tradizionale e sedentaria esente dallo spirito d'avventura; riesce l'ideale più accessibile ai contadini, alieni dal partecipare alla vita dello Stato, paghi di eleggere il deputato, incapaci di controllarlo.

Dove il deputato non può parlare in nome dei suoi interessi di feudatario la tendenza del collegio uninominale si esprime nella formazione di una classe di politici, facili a degenerare in una pratica di politicantismo parassitario. Questo processo si ebbe, in forme alquanto demagogiche, in Italia, dove gli interessi agrari non riuscirono a stabilizzarsi, e l'istinto retorico trasformò il rappresentante nel tribuno.

Così stando le cose la rappresentanza proporzionale parve segnare giustamente in Italia il periodo in cui la vita unitaria si sarebbe imposta alfine, dopo il tormento della guerra e della ascensione socialista, con una fisionomia di serietà etica e politica. Se ne fece banditore il partito popolare che inaugurò appunto in Italia, nella misura concessa agli italiani, una rivoluzione di carattere protestante sia per la sua etica cristiano-liberale, sia per lo spinto laico e cavouriano con cui considera il clericalismo (Sturzo e Donati).

L'utilità della proporzionale non fu quella di uno strumento di conservazione, come crede alcuno, ma si rivelò nel creare le condizioni della lotta politica e del normale svolgimento della opera dei partiti.

A questo concetto noi dobbiamo dare dei riferimenti alquanto diversi dai consueti. Il dopo-guerra fu un fenomeno di dissolvimento dei costumi e di tormenti ideologici: le condizioni generali vi sono assai analoghe a quelle dell'Europa di Lutero, fortemente favorevoli a un movimento di carattere religioso nel senso di una riforma cristiana del cattolicismo. Il sintomo più importante di queste esigenze non sono i varii episodi mistici e confessionali (Papini, Manacorda, Zanfrognini, Conscientia), ma il tentativo di Sturzo che ha appunto la serietà di un largo movimento sociale. La proporzionale diede a queste voci i mezzi per agire nel terreno nazionale; per presentarsi come programmi e proporre delle discipline. La democrazia trovava la sua atmosfera liberale: la proporzionale obbliga gli individui a battersi per un'idea, vuole che gli interessi si organizzino, che la economia sia elaborata dalla politica.

Uno dei più forti segni di disgregamento nel dopo-guerra non fu la lotta di classe, ma il pericolo che le classi si spezzassero egoisticamente in categorie; che gli interessi vincessero le idee, che il corporativismo si sostituisse ai costumi di lotta sindacale rivoluzionaria insegnati da Marx e da Sorel. Il pericolo - anche se nessuno lo ha visto - stava nelle rappresentanze professionali - concetto che fu caro a tutti gli intellettuali disoccupati da Murri a Rossoni. Solo la proporzionale ebbe la virtù per qualche anno di utilizzare queste forze disgregatrici obbligandole a trasportare gli intessi nel campo politico, dove naturalmente son tratti a coordinarsi rinunciando al loro esclusivismo proprio quanto più ciascuno lo afferma e lo difende.

Il fascismo dovette sconvolgere, per vincere, i risultati liberali conservatori di due esperimenti proporzionalisti e oppose all'esercito degli elettori gli ignari dei diritti politici.

Il loro istinto di padroni guida assi precisamente i fascisti nella lotta contro la proporzionale. Ora codesti padroni sono tanto più curiosi in quanto ci vogliono presentare i loro stratagemmi di volgare restaurazione come scoperte futuriste. La critica alla proporzionale perché non rende possibile un governo di maggioranza è futurista proprio come le scoperte marinettiane di forme d'arte alessandrine.

L'importanza dell'opera moralizzatrice della proporzionale si riconobbe negli esperimenti italiani, nella sua attitudine a liquidare i governi di maggioranza. Dove prevale senza incertezza una maggioranza si ha nient'altro che un'oligarchia larvata. La formazione elettorale della maggioranza di governo è poi sempre un risultato di transazioni e di equivoci (patto Gentiloni); l'arma del ricatto diventa il sistema con cui il tiranno può asservire ai suoi istinti gli eserciti delle democrazie votanti.

La vita moderna si nutre di antitesi e di contrasti non riducibili a schemi; i blocchi e le concentrazioni sono il sistema del semplicismo in cerca di unanimità; la logica della vita politica riposta nella varietà e nel dissenso, il governo ne sorge per un processo dialettico diversamente atteggiato a seconda delle diverse azioni di tutti i partiti. La proporzionale è riuscita a creare le condizioni di vita per un governo di coalizione (valorizzato dall'influenza dei partiti che vi collaborano anche quando si contrastano), eliminando ogni possibilità di patti Gentiloni. L'Italia di Nitti dovrà rimanere per questo aspetto, a parte ogni critica che si possa muovere alla figura del ministro, un ideale vanamente vagheggiato e risperato di educazione politica.

In quel periodo torbido e difficile mentre la proporzionale aiutò con chiarezza i governi a salvare il paese, ci fu dato il primo esempio della capacità degli italiani a vivere in un regime di democrazia moderna: fuori di quell'esperimento non ci rimase altra alternativa che il presente Medio Evo.

p. g.

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