La grande vicesindaca della Liberazione

di Eliana Di Caro

Ada Gobetti: a 120 anni dalla nascita, il ritratto di una protagonista della Resistenza e della Torino liberata, in prima linea per i diritti delle donne, direttrice del «Giornale dei genitori».

(L'articolo è stato pubblicato su Domenica, l'inserto de Il Sole 24 Ore, domenica 24 luglio 2022)

Sembrano passati più dei 120 anni che ci separano dalla nascita di Ada Prospero Gobetti. Il 23 luglio 1902, il XX secolo, seguito da un ventennio in cui il mondo non è più stato lo stesso, ha attraversato con i suoi accadimenti la vita dell’intellettuale e politica torinese, non adeguatamente presente nella memoria pubblica del Paese.

A volerla ascoltare, quanto risuona attuale la sua voce di protagonista della Resistenza, vicesindaca della sua città subito dopo la Liberazione (1945-46) traduttrice, giornalista ed educatrice.

Piero Gobetti se ne innamorò a 17 anni: aveva una grande capacità di visione anche in questo, nel riconoscere l’eccezionalità della giovane che sarebbe diventata sua moglie e la madre del figlio Paolo, condividendo con lei gli ideali di libertà e democrazia per cui morirà in esilio a Parigi, a 25 anni neanche compiuti, il 16 febbraio 1926. In nome di quegli ideali, dopo l’8 settembre del ’43 Ada non esiterà ad andare in montagna a combattere, a rischiare in operazioni che le varranno la medaglia d’argento al valore militare (seppure postuma), come quella che la porta ad attraversare il Passo dell’Orso per recapitare informazioni in Francia agli Alleati: una traversata sfibrante, lunga tre giorni, a oltre tremila metri e con il nemico tedesco alle costole. In Diario partigiano (pubblicato nel ’56 da Einaudi) racconta la quotidianità di quei due anni, offrendo, come sottolinea Goffredo Fofi nella prefazione, «uno dei più schietti, completi e avvincenti libri sulla Resistenza».

Chissà cosa avrebbe detto, Ada Gobetti, alle donne ucraine oggi, al quinto mese di una guerra cui ci stiamo incredibilmente assuefacendo. Probabilmente le avrebbe incoraggiate, incitandole a essere compatte, lei che era una mobilitatrice, non a caso tra le fondatrici dei Gruppi di difesa della donna, nel novembre del ’43, poi alla guida dell’Udi di Torino, e rappresentante del Partito d’Azione- che aveva contribuito a costruire- nei convegni femminili internazionali.

La questione femminile le starà cuore, consapevole che essa implica il progresso complessivo della società: si esprimerà a favore del divorzio e del controllo delle nascite (per la sua epoca posizioni avanzatissime, assai più di quelle del Pci).

Ada Gobetti, a più riprese si rivolge alle italiane perché sa che per realizzare una democrazia compiuta è necessario che le donne (oltre che gli uomini) cambino mentalità: è la precondizione per formare nuove generazioni. A questo obbiettivo dedica l’ultimo ventennio della sua vita, dopo la breve esperienza amministrativa a Torino, un riconoscimento e sorprendente per una donna.

Come ricorda lei stessa, quando celebra il primo matrimonio del ’45 tra un comandante partigiano e un’organizzatrice sindacale (anche lei, nel frattempo, si era risposata con Ettore Marchesini), c’è addirittura chi mette in dubbio che le nozze siano valide, essendo state officiate da una donna. Nel dialogo-intervista con l’esponente dell’Udi Fernanda Madia per Radio Roma, nell’agosto del ’45 (la cui trascrizione è conservata nell’archivio del Centro Gobetti). Ada racconta l’esordio della nuova Giunta che «il giorno stesso della Liberazione si insediò nel Palazzo del Comune, dopo un indimenticabile viaggio attraverso le strade imbandierate dove la gente s’era riversata incurante dei fascisti superstiti che ancora sparavano dalle finestre (…)». Il suo sguardo quel giorno contempla una città da ricostruire, con «il 90% degli ospedali e delle scuole distrutto dai bombardamenti», un tessuto sociale d ricucire, a partire dagli «ex internati che tornano dalla Germania a brandelli (…), gli ex detenuti politici, gli ex confinati, i reduci dai campi di prigionia», senza trascurare l’assistenza normale ai poveri, ai bambini, ai vecchi.

Il suo incessante impegno si concentra sul diritto di voto alle donne, e nella transizione del Paese verso la Repubblica: viene nominata la Consulta nazionale ma poi è vittima del destino del Partito d’Azione e non è eletta alla Costituente. Da quel momento, trasferisce ideali e concretezze del suo agire negli articoli per i giornali e, dalla fine degli anni Cinquanta, alla guida della “sua” creatura: il «Giornale dei genitori», dalle cui colonne offre riflessioni e suggerimenti alle madri e padri italiani partendo dall’idea che l’infanzia si il momento fondatore della costruzione di una cittadinanza consapevole.

Coerentemente, nel pensiero di Ada, l’impegno civile, la lezione della Resistenza, i valori della democrazia non sono concetti astratti rispetto alla crescita di un figlio, perché ragione l’intellettuale torinese, il bambino di oggi è l’uomo di domani e dunque questi concetti devono trovare uno spazio adeguato e costante nella vita quotidiana.

Il’61 è un altro momento simbolicamente importante: la casa di via Fabro – un punto di riferimento e luogo d’incontro degli antifascisti gobettiani di Giustizia e Libertà – diventa il Centro studi Piero Gobetti, realizzato con gli amici di sempre Norberto Bobbio, Giorgio Agosti, Franco Antonicelli, Alessandro Galante Garrone, Aldo Garosci, Franco Venturi e Alessandro Passerin d’Entrèves.

La chiarezza che ha improntato tutta la sua vita si percepisce in righe che suonano come un congedo quando, nel 1959 è in ospedale per via di un infarto (morirà poi nel 1968, colpita da ictus). Il tema è il dovere di scegliere «Ho voluto bene a molti, in modo più o meno intenso, ma posso dire con coscienza che non ho mai avvicinato un essere umano senza sentirmi in qualche modo legata da un senso di solidarietà. Il che non vuol dire che abbia voluto bene indiscriminatamente a tutti. Ho odiato certe persone per le idee che sostenevano e rappresentavano: ho odiato i fascisti e – pur umanamene comprendendo e compatendo gli individui – non ho esitato a lottare contro di essi. Per questo non sono pacifista. Odio tutte le forme di neutralità. Penso che si deve avere un’idea e per questa battersi, non impersonalmente, ma con tutta la passione più viva».

Centro studi Piero Gobetti

Via Antonio Fabro, 6
10122 Torino
c.f 80085610014
 
Tel. +39 011 531429
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