Alieni in città

di Maria Grazia Casagrande


L'esplosione del coronavirus per certi versi ricorda lo scompiglio che si creò a metà degli anni Ottanta con la scoperta dell'Aids. Mio figlio era appena nato e ricordo perfettamente quell'atmosfera carica di tensione, notizie allarmanti e il veloce diffondersi di un'idea, confusa ma radicata, di paura nei confronti di un prossimo che, tutto d'un tratto, era diventato pericoloso e da tenere a debita distanza.

Un ingranaggio diabolico che si è replicato anche questa volta trasformandoci in presenze potenzialmente insidiose l'una per l'altra e dunque da temere.

Siamo tutti super attrezzati con guanti e spray igienizzanti, ma è bastato l'uso di una mascherina a rendere difficile persino la comunicazione, tanto da rendere la nostra lingua incomprensibile, a tratti straniera.

Un lato divertente, nell'uso delle mascherine, risiede nel poter fare smorfie e boccacce,  parlare da soli con il rischio che diventi un'abitudine, e persino cantare.

Gli eroi mascherati si coprono sempre il viso: da Zorro a Diabolik fino alla scompigliata Banda Bassotti, ognuno ha la sua maschera che lo identifica come eroe, rendendolo irriconoscibile e imbattibile.

Ma ora che una maschera guarda caso ce l'abbiamo, ci sentiamo sempre meno delle persone e più simili ad alieni; e allora vorremmo uscire da questi gusci che non ci appartengono per tornare alla 'normalità', cioè quella che, a tutti gli effetti, è stata la causa del disastro.

Dante, nella Divina Commedia, dedica un canto anche ad Adamo ed Eva colpevoli d'essersi lasciati ingannare dal male, peccando di superbia e d'impazienza. Alcuni affermano che da allora l'Uomo sia rimasto incagliato nell'uso di biechi espedienti per poter raggiugere i propri scopi. Da parte mia ho imparato che l'umanità va e viene, costruisce, distrugge e poi costruisce di nuovo, ma i luoghi restano lì e sanno aspettare che, nella Storia, altri uomini li possano raggiungere, abitare, scriverne e creare nuovi mondi possibili.

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