Chiave di lettura - 04/19
La rabbia dei vinti. La guerra dopo la guerra 1917-1923
a cura di Francesco Sunil Sbalchiero
Dal 2017 la casa editrice Laterza sta pubblicando, all’interno della collana Cultura storica, numerose pubblicazioni di alto livello, di storici anche non italiani. Ha pubblicato due libri del giovane storico francese Johann Chapoutut L’affaire Potempa. Come Hitler assasinò Weimar (2017) e La rivoluzione culturale nazista (2019)1. Nella stessa collana è stato ripubblicato il libro Postwar (2017) di Tony Judt e pubblicato il primo volume dell’opera dello storico britannico Jan Kershaw Inferno andata e ritorno (1914-1949).
In questa stessa collana è uscito, nel 2017, un altro libro molto interessante del giovane storico inglese e tedesco Robert Gerwarth2 che si occupa principalmente di storia contemporanea europea e storia della Germania ed è professore all’University College di Dublino. In italiano è stata tradotto solamente il libro uscito per Laterza intitolato La rabbia dei vinti. La guerra dopo la guerra 1917-19233.
Secondo la tesi di Gerwarth, la Prima guerra mondiale non è stata solamente l’incubatrice della violenza che si ebbe in Europa negli anni successivi, ma fu un processo che poi sfociò nella Seconda guerra mondiale e nei diversi episodi di violenza e guerra successivi, anche molto recenti.
La prima parte del libro si concentra sui due paesi che persero la guerra: Russia e Germania. Secondo l’autore infatti è poco probabile che senza la guerra in Russia sarebbero scoppiate sia la rivoluzione di febbraio che quella dell’ottobre del 1917 che ha portato i bolscevichi al potere. L’uscita dalla guerra ad un prezzo molto alto imposto dai tedeschi con la pace di Brest-Litovsk, nella mente di Lenin doveva rispondere all’esigenza di guadagnarsi il sostegno dei soldati ormai stanchi dalla lunga guerra. Questa scelta portò al consolidamento del regime che i bolscevichi stavano costruendo e, come sostiene l’autore nel libro, «la maggior parte delle previsioni di Lenin si sarebbe rivelata corretta». La Rivoluzione d’ottobre portò ad una radicalizzazione del clima politico non solamente in Russia, ma in breve tempo si espanse in tutta l’Europa. Gerwarth sostiene che la liberazione di molti prigionieri di guerra, che si erano convertiti al bolscevismo, portò nel paese soggetti radicalizzati. Alla Germania il trattato di Brest Litovsk portò l’idea di poter avvicinarsi al sogno di diventare una grande potenza dominante. Un’idea che rimase presente anche alla fine del primo conflitto mondiale nei movimenti di destra e che avrebbe portato poi al Nazismo.
Nella parte successiva del libro il tema centrale è quello della rivoluzione e della controrivoluzione. In questa parte, che costituisce il nucleo centrale del saggio, lo storico analizza le conseguenze della Rivoluzione russa e della sconfitta e disgregazione degli imperi centrali. In Russia si cadeva in una guerra civile che avrebbe portato a più vittime rispetto alla guerra che si era combattuta fino a quel momento nell’Europa centrale e orientale. L’impatto della rivoluzione portò, nel resto d’Europa, alla nascita di situazioni rivoluzionarie simili a quella bolscevica: ciò avvenne in Germania, Austria, Ungheria. In Italia vi furono violente sommosse che portarono poi al Fascismo mentre in Spagna e Portogallo emersero movimenti di destra. Gerwarth sostiene che per la prima volta dal 1789 un movimento rivoluzionario aveva preso il controllo di uno stato e che con il 1917 la possibilità di una rivoluzione in Europa veniva percepita come reale e concreta. La reazione a questi movimenti rivoluzionari portò al delinearsi di movimenti controrivoluzionari: in alcuni casi, come in Italia, Spagna e Portogallo, infatti, vi fu un’inversione verso destra che può essere considerata una reazione alla Rivoluzione russa e ai movimenti rivoluzionari.
Il crollo degli imperi fu un trauma anche per i paesi dell’Europa centrale, in Germania la nascita della Repubblica di Weimar fu accolta in modo positivo da gran parte dei tedeschi, ma non dai militari che vedevano nella neonata repubblica l’umiliazione della sconfitta. Questo portò la Germania a vivere un periodo estremamente convulso.
Francia e Inghilterra, che avevano vinto la guerra, non subirono terremoti politici anche per la solidità delle loro istituzioni ma anche i governi di questi due paesi ebbero una costante paura della rivoluzione bolscevica. Questa loro stabilità non può essere attribuita alla vittoria della guerra: anche l’Italia, infatti, era tra i paesi vicintori, ma si rivelò con istituzioni più deboli rispetto all’Inghilterra e alla Francia. La risposta italiana, secondo Gerwarth, alla situazione del primo dopoguerra fu il fascismo: questa risposta alle idee rivoluzionarie fu presente anche in altri Stati europei.
L’ultima parte riguarda la fine degli imperi e le conseguenze dei trattati di pace alla fine della Prima guerra mondiale. I trattati di Versailles complicarono ulteriormente la situazione dopo il conflitto. Al contrario di alcuni casi precedenti, come il congresso di Vienna, in cui i vincitori dopo la sconfitta di Napoleone non umiliarono troppo la Francia, i vincitori della Prima guerra mondiale non furono molto lungimiranti e previdenti. La Grande guerra cambiò in parte obiettivi quando la rivoluzione bolscevica portò all’uscita della Russia e in breve tempo all’ingresso nel primo conflitto mondiale degli Stati uniti: secondo lo storico inglese, gli stati della triplice intesa «perseguirono sempre di più lo smaltellamento degli imperi europei come obbiettivo della guerra».
Ogni paese vincitore si presentò a Versailles con le proprie richieste per perseguire i propri obiettivi senza tener conto dei paesi sconfitti e degli alleati. L’unico obiettivo comune perseguito fu l’umiliazione dei paesi sconfitti e, in particolare, della Germania. Alla Germania vennero imposti pesantissimi risarcimenti e perdite territoriali. L’autore non si sofferma su questi aspetti, su cui è già stato scritto molto, ma cerca di allargare lo sguardo e, nel libro, fa emergere come i trattati di pace produsserò due effetti negativi: il primo fu un atteggiamento vendicativo dei vincitori verso gli sconfitti che non tenne conto delle condizioni reali dei paesi e Gerwath lo dimostra concretamente nel caso dell’Ungheria, della Bulgaria e della Turchia. Il secondo aspetto su cui si concentra l’autore è l’effetto totalmente negativo dei quattordici punti del presidente americano Wilson: l’idea di autodeterminazione, opposta al desiderio di una rivoluzione mondiale sostenuta da Lenin, prevalse, con conseguenze enormi. Nel 1914 gli imperi erano ancora vivi e in salute e nessuno poteva prevederne il crollo in così breve tempo: il principio di autodeterminazione portò alla creazione di nuovi stati con all’interno la presenza di popoli, religioni, lingue diverse. Questi nuovi stati in breve tempo iniziarono a combattere tra di loro per questioni territoriali e anche al loro interno tra i diversi gruppi etnici che componevano i nuovi stati.
Il problema del nazionalismo, che fino a quel momento era stato contenuto, all’interno dei grandi imperi produsse una violenza generalizzata. L’autore su questo scrive: «L’autodeterminazione veniva concessa solo ai popoli considerati alleati dell’intesa e non a quelli che erano stati nemici durante la guerra». Questo modo di operare dei paesi vincitori fu un sistema per aumentare ancora di più l’instabilità di alcuni paesi che erano determinati a riprendersi parte dei loro popoli collocati in altri stati.
In questo libro Gerwath critica le ricerche storiche tradizionali su quel periodo sostenendo che non si erano occupate ancora in modo adeguato di alcuni temi: «Nella letteratura internazionale manca un volume che analizzi in una prospettiva d’insieme le esperienze di tutti gli Stati europei sconfitti nella Grande guerra» e aggiunge: «I paese sconfitti nella Grande guerra spesso sono stati descritti o attraverso il prisma della propaganda o assumendo il punto di vista del 1918, quando la legittimazione dei nuovi Stati nazionali dell’Europa centro-orientale esigeva la demonizzazione degli imperi dai quali si erano distaccati».
Secondo l’autore quindi il confine tra vincitori e vinti è più labile rispetto a quello che spesso viene sostenuto: l’Italia, ad esempio, pur avendo vinto la guerra si comportò come se l’avesse persa, la Grecia vinse la guerra nel 1918, ma i greci videro i loro sogni di un impero crollare, mentre i turchi persero la guerra, ma mantennero l’integrità territoriale e passarono ad una Repubblica, anche se guidata da Atartürk. L’autore porta diversi esempi di questo meno netto confine tra vinti e vincitori. In questo libro Gerwarth fa emergere anche aspetti interessanti come la continuità dei protagonisti delle violenze del 1917-1923 e il 1939-1945 che da nazionalisti sono divenuti nazisti in Germania o filofascisti nei paesi dell’Europa centro-orientale; il monopolio della violenza dallo stato a forze autonome o milizie e il nazionalismo basato sull’idea di omogeneità etnica di uno stato.
Il libro offre un’interpretazione originale dei fatti, perché supera la periodizzazione classica della Prima guerra mondiale e invita ad ampliare lo sguardo almeno fino al 1923, offrendo questa tesi impegnativa: «nessuno di essi [i paesi sconfitti] riuscì a ritornare ai livelli di stabilità e di pace interna paragonabile a quelli dell’anteguerra» con argomentazioni convicenti come già fatto dallo storico inglese in altri numerosi libri che però non sono stati tradotti ancora in italiano.
Recensione a: Robert Gerwarth, La rabbia dei vinti. La guerra dopo la guerra 1917-1923 (Laterza, Roma- Bari 2017).
Note:
1 Il primo libro di J. Chapoutot è stato pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel 2015 Controllare e distruggere. Fascismo, nazismo e regimi autoritari in Europa (1918-1945). Inoltre Einaudi negli anni successivi ha pubblicato altri due libri dello stesso autore La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti (2016) e Il nazismo e l’antichità (2017).
2 È autore di numerosi libri usciti in inglese: Political Violence in Twentieth- Century Europe (Cambridge University press 2011) con D. Bloxham, Hitler’s Hangman: The life of Heydrich (Yale university press, 2011), Twisted Paths: Europe 1914-1945 (Oxforf University Press, 2007), The Bismarck Myth (Oxforf University Press, 2005).
3 Il titolo in inglese è The vanquished. Why the First World War Failed to End 1917-1923 (Allen Lane, 2016).