ZIBALDONE


Il nostro Zibaldone

Lo Zibaldone di Giacomo Leopardi è un diario personale che raccoglie appunti, riflessioni, aforismi, scritti tra il 1817 e il 1832. Il nostro Zibaldone è un diario collettivo composto con citazioni esemplari dagli amici del Centro Gobetti.

Erasmo da Rotterdam, La pace

a cura di Tiziana Provvidera

Ora se nel mondo c’è una cosa che conviene affrontare con esitazione – ma che dico, che bisogna in tutti i modi evitare, scongiurare, tenere lontana – di sicuro è la guerra: non c’è iniziativa più empia e dannosa, più largamente rovinosa, più persistente e tenace, più squallida e nell’insieme più indegna di un uomo, per non dire di un cristiano. Invece – chi lo crederebbe? – oggi si entra in guerra di qua, di là, dappertutto, con estrema leggerezza, per le ragioni più futili: e la condotta di guerra è caratterizzata da un’estrema crudeltà e barbarie. (Dulce bellum inexpertis, 1515 (Adagia n. 3001), in Erasmo da Rotterdam, Adagia. Sei saggi politici in forma di proverbi, trad. di S. Seidel Menchi, Einaudi, Torino 1980)

Al giorno d’oggi la guerra è un fenomeno cosi largamente recepito, che chi la mette in discussione passa per stravagante e suscita la meraviglia; la guerra è circondata di tanta considerazione, che chi la condanna passa per irreligioso, sfiora l’eresia: come se non si trattasse dell’iniziativa più scellerata e al tempo stesso più calamitosa che ci sia. Bisognerebbe invece domandarsi qual genio malvagio, quale flagello, quale calamità, quale Furia infernale abbia originariamente immesso un impulso così bestiale nell’animo dell’uomo, abbia indotto questo essere pacifico, che la natura ha preordinato a una solidale convivenza, – il solo essere predestinato alla salvezza – a farsi promotore e vittima di sterminio, con una frenesia così selvaggia, con tali esplosioni di follia. (Dulce bellum inexpertis, 1515 (Adagia n. 3001), in Erasmo da Rotterdam, Adagia. Sei saggi politici in forma di proverbi, trad. di S. Seidel Menchi, Einaudi, Torino 1980)

Siamo arrivati a un tal grado di frenesia, che tutta la nostra vita è dominata dalla guerra. Non c’è tregua. La guerra imperversa a livello di nazioni, a livello di regni, di città, di principi, di popoli. Non rispetta rapporti di parentela, non conosce vincoli di sangue, mette fratello contro fratello, arma il figlio contro il padre. [...] Eppure nessuno fa domande, nessuno si leva a dire una parola di riprovazione: cecità della mente umana! C’è chi plaude, chi esalta, chi chiama santa un’iniziativa superdiabolica e aizza principi già per conto proprio farneticanti, dando, come si dice, esca al fuoco. (Dulce bellum inexpertis, 1515 (Adagia n. 3001), in Erasmo da Rotterdam, Adagia. Sei saggi politici in forma di proverbi, trad. di S. Seidel Menchi, Einaudi, Torino 1980) 

Nelle corti dei principi, come in una sorta di porto, trovo rifugio. «Ci sarà certamente» dico «presso di loro un posto per la pace: costoro sono più saggi del volgo, tanto da essere lo spirito della plebe e l’occhio del popolo». E tutto promette bene. Vedo scambi di saluti cordiali, amicizia negli abbracci, giovialità negli incontri, e ogni altra manifestazione di umana bontà. Ma – cosa indegna! – fra loro non mi fu dato di scorgere nemmeno l’ombra della vera concordia. Tutto è trucco e finzione, tutto è corrotto da fazioni palesi, occulti dissidi e rivalità. Alla fine scopro che presso costoro a tal punto non abita la pace che è proprio da qui che scaturiscono e germogliano tutte le guerre. Dove potrò andare – me misera! – dopo tanti disinganni? (Querela pacis (1517), in Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, trad. di C. Carena, Einaudi, Torino 1990)

La grande maggioranza dei popoli detesta la guerra e invoca la pace. Sono ben pochi oramai coloro la cui empia infelicità dipende dall’infelicità generale, e dunque bramano la guerra. Se sia giusto o meno che la loro malvagità prevalga sull’aspirazione di tutti i buoni, giudicatelo voi stessi. Vedete che fino ad ora si sono mostrati inutili i trattati, inconcludente la forza, la punizione. Adesso provate invece quale non sia l’efficacia della concordia e della generosità. Da guerra nasce guerra, vendetta provoca vendetta. Adesso sia la bontà a generare bontà, la generosità solleciti ad essere generosi, e si giudichi più regale chi avrà rinunciato ai propri diritti. (Querela pacis (1517), in Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, trad. di C. Carena, Einaudi, Torino 1990)

Mi rifugerò fra i banchi dei dotti. La buona letteratura rende umani, la filosofia più che umani, la teologia divini. Fra costoro, dopo tanti vagabondaggi, troverò certamente riposo. Ma, ahimè, anche qui un altro genere di guerre: certo meno cruento ma non meno folle. Le scuole in dissidio tra loro e, come se la verità differisse a seconda del luogo, certe nozioni non attraversano il mare, altre non oltrepassano le Alpi, altre ancora non varcano il Reno; anzi in una stessa università, il dialettico fa guerra al retore e il teologo dissente con il giurista, al punto che nemmeno nelle più insignificanti questioni esiste accordo tra loro e sono frequenti i duelli più accaniti su questioni di lana caprina: nel calore della discussione salgono dalle argomentazioni agli insulti, dagli insulti alle percosse; non si pone mano a picche e pugnali, ma ci si trafigge con stili avvelenati, ci si sbrana a vicenda con i denti dei propri scritti e l’uno avventa con la propria lingua frecciate letali sulla reputazione dell’altro. (Querela pacis (1517), in Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, trad. di C. Carena, Einaudi, Torino 1990)

 

Hannah Arendt, Pensare e agire politicamente

a cura di Cesare Pianciola
Pensare senza ringhiere
 Se si va su e giù per le scale, si è sempre trattenuti dalla balaustrata, così non si può cadere. Ma noi abbiamo perduto la balaustrata. Questo mi son detta. Ed è quello che cerco di fare (Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna 1981, p. 49).
 
Il senso dell'agire politico
[Tre ostacoli tradizionali alla comprensione dell'agire politico:]  la categoria del fine e del mezzo, che considera il politico nell’ottica di un fine supremo ad esso estraneo, poi l’idea che la sostanza del politico sia la violenza, e infine la convinzione che il dominio sia il concetto centrale della teoria politica (Che cos’è la politica?, Comunità, Milano 1995, p. 62).
[Invece, originariamente] il senso del politico […] è che gli uomini comunichino in libertà, al di là di violenza, coercizione e dominio, come eguali che soltanto in situazioni di emergenza, e cioè in tempo di guerra, comandavano e obbedivano, ma che altrimenti regolavano ogni faccenda attraverso il dialogo e la reciproca persuasione. Il politico, nel senso greco, è dunque incentrato sulla libertà; una libertà in senso negativo come non-essere-dominati e non-dominare, e, in positivo, come uno spazio che può essere creato solo da molti e nel quale ognuno si muove tra suoi pari (Ivi, p. 30).
 
Uguali e diversi: la pluralità umana
Quello che mi interessa maggiormente sono le varie forme della pluralità umana, e le istituzioni che vi corrispondono. In termini di pluralità umana vi sono due modi fondamentali dell'essere-insieme: l'essere insieme con gli altri uomini e con i propri pari, dal quale scaturisce l'azione, e l'essere-insieme con il proprio Sé, cui corrisponde l'attività del pensare (Progetto per la Rockefeller Foundation, dicembre 1959).
La pluralità umana, condizione fondamentale sia del discorso sia dell'azione, ha il duplice carattere dell'eguaglianza e della distinzione. Se gli uomini non fossero uguali, non potrebbero né comprendersi fra loro, né comprendere i propri predecessori, né fare progetti per il futuro e prevedere le necessità dei loro successori. Se gli uomini non fossero diversi, e ogni essere umano distinto da ogni altro che è, fu o mai sarà, non avrebbero bisogno né del discorso né dell'azione per comprendersi a vicenda (Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1989, p. 127). 
  
Il totalitarismo eccede le categorie abituali del pensiero e del giudizio
L'originalità del totalitarismo è terrificante non perché sia venuta al mondo qualche nuova "idea", ma perché i suoi atti rompono con tutte le nostre tradizioni: si tratta di atti che hanno letteralmente polverizzato le categorie del nostro pensiero politico e i nostri criteri di giudizio morale (La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè, Milano 1985, p. 94). 
Qui non ci sono criteri politici, storici o semplicemente morali, ma tutt’al più la constatazione che nella politica moderna è in gioco qualcosa che non dovrebbe mai rientrare nella politica, che essa è al bivio fra  tutto e niente: tutto, un’indeterminata infinità di forme di convivenza umana, o niente, la distruzione dell’uomo in seguito alla vittoria del sistema dei campi di concentramento, una distruzione altrettanto inesorabile di quella che la bomba all’idrogeno riserverebbe alla razza umana (Le origini del totalitarismo,  Comunità, Milano 1999, p. 607).
 
Il totalitarismo è isolamento, estraniazione, atomizzazione
Il regime totalitario, al pari di ogni tirannide, non può certo esistere […] senza distruggere con l'isolamento le capacità politiche degli uomini. Ma esso come forma di governo è nuovo in quanto, lungi dall'accontentarsi dell'isolamento, distrugge anche la vita privata. Si basa sull'estraniazione, sul senso di non appartenenza al mondo, che è fra le più radicali e disperate esperienze umane. […] Stando a Epitteto […] l'uomo estraniato (eremos) si trova circondato da altri con cui non può stabilire un contatto o alla cui ostilità è esposto (Le origini del totalitarismo, Comunità, Milano 1999, pp. 651-652).
L'atomizzazione della società sovietica venne ottenuta con l'abile uso di ripetute epurazioni, che invariabilmente precedevano l'effettiva liquidazione di un gruppo. Per distruggere tutti i legami sociali e familiari, le epurazioni venivano condotte in modo da minacciare della stessa sorte l'accusato e tutta la sua cerchia, dai semplici conoscenti agli amici e ai parenti più stretti (Ivi. p. 447).
 
Pensare con gli altri
Il potere di giudicare si fonda con l'accordo potenziale con altri: il processo del pensiero che realizza il giudizio non è un dialogo con se stessi, come il pensiero dedito al puro ragionamento; al contrario, anche se nel prendere la decisione io sono del tutto solo, il mio giudizio si esplica in una comunicazione anticipata  con altri con i quali devo infine arrivare a un certo accordo. Da questo accordo potenziale il giudizio deriva il proprio valore [...]. Questa mentalità allargata [...] richiede la presenza di altri, per pensare "al loro posto", per prenderne in considerazione le prospettive, e senza di loro è del tutto incapace di agire (Tra passato e futuro, Vallecchi, Firenze 1970, p. 239).
 
Incapacità di pensare di Eichmann
… il gergo burocratico era la sua lingua perché egli era veramente incapace di pronunziare frasi che non fossero clichés. […] Quanto più lo si ascoltava, tanto più era evidente che la sua incapacità di esprimersi era strettamente legata a un'incapacità di pensare, cioè di pensare dal punto di vista di qualcun altro (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1995, pp. 56-57).
 
Violenza e nonviolenza
La violenza  può sempre distruggere il potere; dalla canna del fucile nasce l'ordine più efficace, che ha come risultato l'obbedienza più immediata e perfetta. Quello che non può mai uscire dalla canna di un fucile è il potere» (Sulla violenza, in Politica e menzogna, SugarCo, Milano 1985, p. 202).
I forti sentimenti di fratellanza che la violenza collettiva genera hanno tratto in inganno molta brava gente che ha sperato che da essa potesse nascere una nuova comunità assieme a un “uomo nuovo”. Questa speranza è un'illusione per la semplice ragione che nessun rapporto umano è più precario di questo genere di fratellanza, che può essere messa in atto soltanto in condizioni di imminente pericolo di vita (Ivi, p. 213).
 
Educazione
… ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità (Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1989,  p. 129).
Nell'educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d'intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d'imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti  (Tra passato e futuro, Vallecchi, Firenze 1970, p. 213).
 

Bianca Guidetti Serra: una lezione di vita activa

Brani scelti da Santina Mobiglia (tratti da Bianca Guidetti Serra, con Santina Mobiglia, Bianca la rossa, Einaudi, Torino 2009)

Albert Camus, La rivolta libertaria

Brani scelti da Cesare Pianciola

Antonio Gramsci, L'operosità intelligente

Brani scelti da Giacomo Tarascio

Norberto Bobbio, Elogio del dialogo

Brani scelti da Pietro Polito

Lo Zibaldone di Giorgio Fontana

Centro studi Piero Gobetti

Via Antonio Fabro, 6
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