Chiave di lettura - 07/20

Recensione di La faccia nera del Vietnam di Wallace Terry (trad. It Paola Conversano, Edizioni Piemme, Asti 2005)
a cura di Luca Zanotta

L’idea di essere ucciso dalla polizia mentre ero con le Pantere Nere o da un vietnamita mentre ero nell’esercito non faceva una gran differenza, se non qualitativa. Mi ero lasciato alle spalle una guerra ed ero tornato per entrare in un’altra.

Soldato semplice di 1° classe
Reginald “Malik” Edwards
Fuciliere 9o Reggimento
Corpo dei Marines
Dananag
Giugno 1965- Marzo 1966

Quando vidi per la prima volta la sequenza di immagini che testimoniavano l’assurda morte di George Perry Floyd Jr. fui assalito da uno scoramento che mi parve addirittura esagerato. Come potevo io, benestante ragazzo occidentale, risultare tanto sconvolto per la morte di un essere umano così distante da me, sia fisicamente che culturalmente? Forse fu il viso indifferente del poliziotto che soffocava in diretta l’uomo a crearmi tanta disperazione o forse il fatto che questa triste vicenda confermasse come il razzismo di oggi non sia molto differente da quello di ieri. Pur non avendo mai condiviso l’idea di violenza per violenza capivo i manifestanti, mi immedesimavo e m’immedesimo tutt’ora nella loro rabbia, così antica e allo stesso tempo così necessariamente attuale. Non che io sia l’ennesimo paladino degli ultimi; semplicemente ritengo che il mio nascere bianco ed europeo mi abbia sollevato da una serie di pesi e di ingiustizie che invece è costretto a subire, ancora oggi, chi possiede una tonalità cromatica diversa dalla mia.

Proprio nei giorni in cui nacque il movimento Black Lives Matter mi tornò alla mente un libro letto ormai molti anni orsono, quando mi occupavo, per passione e per necessità universitarie, del tema della guerriglia. Lo rilessi dalla prima all’ultima pagina e, forse poiché più maturo, lo reputai essere un documento eccezionale, per la struttura, la forza delle parole che vi erano contenute e per la tremenda contemporaneità di certe ideologie che quelle pagine trasudavano. Per motivi linguistici non consultai l’originale, in lingua inglese, bensì l’edizione tradotta in italiano da Paola Conversano dal titolo La faccia nera del Vietnam, edito nel 2005 da Piemme; il titolo autentico dell’opera era Bloods: an Oral history of the Vietnam War by Black Veterans. L’autore, un giornalista afroamericano di nome Wallace Houston Terry, fu corrispondente di guerra dal Vietnam per Time Magazine e The Washington Post; lavorò inoltre per Usa Today e per la CBS seguendo con dedizione in qualità di reporter le campagne per i diritti civili che sconvolsero l’America degli anni ’60-‘70; quando nel 1967 gli fu proposto di recarsi a Saigon per contribuire alla stesura di un articolo relativo al ruolo dei soldati neri durante la guerra del Vietnam accettò di buon grado, forse senza immaginare il valore della testimonianza che avrebbe consegnato ai posteri. Un pezzo di storia americana che nel dramma della traumatica disfatta militare del Paese inserisce la più ampia questione della discriminazione razziale negli USA.

L’ossatura del libro è costituita dai racconti di venti veterani afroamericani selezionati dall’autore per garantire una «panoramica rappresentativa delle forze militari nere»[1] durante il conflitto. Soldati semplici, truppe scelte, interpreti, ufficiali, avieri, marinai e infermieri ripercorrono la loro particolare guerra, quella di chi si trovò a combattere due nemici distinti: i vietcong da un lato, il feroce ed ostentato razzismo dei commilitoni e dei comandi statunitensi dall’altro.

Il testo possiede molte caratteristiche che lo rendono vivamente apprezzabile non solo per la qualità dei contenuti, il pragmatismo nella scelta delle fonti ma anche per la necessaria semplicità che caratterizza i racconti di guerra. L’eterogeneità del gruppo di intervistati è in grado di offrire racconti contrastanti tra loro ma egualmente interessanti. Alcuni vissero la guerra in modo sporadico, altri invece passarono mesi in mezzo alle risaie vietnamite o nella giungla vivendo gli orrori e, a detta di molti, gli odori della guerra. Alcune parti del testo possono risultare molto crude e la lettura deve essere preceduta da alcune considerazioni: trattandosi prevalentemente di testimonianze di ex soldati i termini utilizzati risultano spesso essere forti e le immagini cariche di una violenza narrata in modo tanto semplice da apparire irreale ma, come riporta Terry nell’introduzione:

 

Sono storie che non si trovano nella corposa letteratura sul Vietnam, ma meritano di rimanere in primo piano perché sono il frutto dell’esperienza, unica del suo genere, dei veterani neri[2].

 

L’utilizzo della Oral History consente di esaminare eventi straordinari attraverso gli occhi e le parole di spettatori ordinari; se ciò da un lato non garantisce la veridicità storica degli eventi narrati è necessario specificare che qui non si prospetta di farlo. Il libro è agevole e terribile perché così vuole essere, non indora nessun tipo di pillola ma catapulta, pagina dopo pagina, in una guerra impopolare in cui i soldati afroamericani furono, come oggetti, usati e gettati nel dimenticatoio: se già per i veterani bianchi non vi furono bandiere ed ogni altro gingillo che caratterizza il ritorno a casa degli “eroi di guerra”, i soldati neri furono letteralmente abbandonati a loro stessi. Il reinserimento nel mondo civile fu per molti di loro impossibile: «Le porte della società si erano chiuse»[3] –  afferma Terry – ma, si potrebbe aggiungere, quando mai erano state realmente aperte? Nonostante ciò molti dei soggetti intervistati dall’autore affermarono di essere patriottici e di credere fortemente nella causa anticomunista che li accompagnò allora nell’Indocina. In varia misura dichiararono tutti di ritenersi orgogliosamente americani.

Ritengo che il valore di quest’opera risieda nell’aver centrato i suoi intenti narrativi: l’abominio della guerra si intreccia all’indagine sociale e culturale per restituire un resoconto sulla difficile posizione di chi viene disprezzato dallo stesso sistema che gli chiede di essere disposto a morire per esso. Il lettore può comprendere aspetti ordinari della vita al fronte, nomi tecnici di mezzi e armi e indagare allo stesso tempo le diverse considerazioni riguardo il razzismo elaborate da chi lo visse al fronte venendo inviato per ripicca in ricognizione oppure impedito ad entrare in talune mense riservate ai soli bianchi.

In un momento così difficile per la società afroamericana negli Usa ho voluto riaprire vecchie ferite che avrebbero quantomeno dovuto insegnare qualcosa sui sacrifici di uomini che, soffrendo indicibilmente nel loro percorso di affermazione sociale, hanno contribuito a creare l’America, la stessa nazione che ancora oggi dimostra di non aver sviluppato sufficienti anticorpi al subdolo male rappresentato dalla discriminazione razziale.

 

 

Note:

[1] Wallace Terry, La faccia nera del Vietnam, trad. It Paola Conversano, Edizioni Piemme, Asti, 2005, p. 11, (Bloods: an Oral history of the Vietnam War by Black Veterans, Random House, 1984).

[2] Wallace Terry, La faccia nera del Vietnam, trad. It Paola Conversano, Edizioni Piemme, Asti, 2005, p. 11, (Bloods: an Oral history of the Vietnam War by Black Veterans, Random House, 1984)

[3] Ibidem.

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