Dalla cultura dell’iniziativa all’iniziativa della cultura

di Pietro Polito


Mi sembra particolarmente indovinato e appropriato è il titolo di un dibattito promosso dalla Fondazione culturale valdese: “Dalla cultura dell’iniziativa all’iniziativa della cultura”: “La cultura come luogo di resistenza e di rilancio. Nel periodo del confinamento per il Covid-19 a inizio 2020 – si legge nella presentazione dell’incontro – si sono chiusi completamente, tra gli altri, i luoghi della cultura e questa si è trasferita forzatamente, quando ha potuto, sul digitale. Ora è tempo di guardare in avanti, di riflettere su quei 100 giorni di confinamento ma anche sul dopo, sugli altri che sono venuti e sul mondo che sarà, sul ruolo in particolare che la cultura gioca e può giocare sulla ripartenza”[1].

Si tratta di una riflessione quanto mai opportuna e necessaria perché, a un anno di distanza dal periodo del confinamento totale (21 febbraio – 3 giugno 2020) – il Paese è impegnato su tre fronti che interrogano fortemente la cultura, e l’etica, forse ancor più che la politica: 1. il piano di vaccinazione; 2. il recovery plan; 3. il piano graduale delle riaperture. Quanto al recovery plan, esso potrà essere e sarà un grande progetto di rilancio del Paese e della società nella misura in cui valorizzerà il ruolo dei corpi intermedi, degli istituti culturali, delle associazioni di cittadine e cittadini[2]. Quanto al piano di vaccinazione, tutti auspichiamo proceda celermente mettendo in sicurezza le persone e il Paese. Quanto al piano delle aperture che ha preso avvio avvio il 26 aprile, temo che sia, come dire, quanto meno eccessivo pensare che potrebbe  favorire entro l’estate il “ritorno alla normalità, se i dati lo permetteranno[3].

Lo stesso Presidente del Consiglio Mario Draghi ha parlato di un “rischio ragionato” (in realtà una mediazione tra i partiti di governo), mentre alcuni quotidiani hanno parlato di una “scommessa”[4]. A dire il vero, più che una scommessa, per i più fiduciosi, il nuovo indirizzo segna un cambio di passo che apre una nuova fase, una vera e propria svolta. Francesco Bei (“la Repubblica”) ha parlato di una “svolta” che prelude a un “ritorno alla vita” o quanto meno al “sospirato ritorno alla (quasi) normalità”, passando dallo Stato tata “costretto a piazzare un carabiniere davanti a ogni locale” allo “Stato-comunità, che concede libertà contando sul buon senso e l’educazione dei cittadini”. Per l’autorevole opinionista, la “scommessa” del Presidente del Consiglio Draghi consiste nel puntare attraverso le riaperture sulla “fiche della crescita”: con l’obiettivo “di riattivare una crescita robusta”, che consenta al Paese di rientrare nel giro di 4 anni sotto la soglia del 3 per cento prevista dai trattati europei[5].

Improvvidamente, il 26 aprile 2021 viene accostato al 25 aprile 1945, e non solo dai cosiddetti “riaperturisti” e dal loro principale azionista. Per esempio, Eugenia Tognotti (“La Stampa”) invita a “guardare, tutti, con fiducia al 26 aprile, come un giorno di quasi liberazione”, avvertendo però: “Niente azzardi. Libertà ragionate e basate sui numeri che inducono a un moderato ottimismo” e denunciando opportunamente “la drammatica confusione informativa al tempo del Covid”[6]. Sullo stesso giornale, Marcello Sorgi ricordato  quel  “senso di autorità indiscutibile”che emana Draghi, afferma che “sarebbe il caso di parlare di una svolta clamorosa”, sostiene che il governo ha voluto che “all’indomani del 25 aprile, per gli italiani ci sia una seconda festa della liberazione”, che, negli auspici, “deve diventare una nuova stagione di doveri”[7].

Per quanti sforzi faccia, non riesco a iscrivermi al partito dei nuovi ottimisti, un partito trasversale che ora ha più proseliti a destra che a sinistra, ma che è destinato a farne tanto a destra quanto a sinistra, né tra i moderati (“La Stampa” e “Repubblica”) né tra gli entusiasti (“Il Foglio Quotidiano”)[8]. Mi sento più a mio agio nella schiera degli scettici che non vedono affatto nel Premier Draghi “l’arcigno agente della Fodria, le Forze Oscure Della Reazione in Agguato” (Francesco Bei), ma semplicemente osservano che il rischio, ragionato o calcolato che sia, in realtà potrebbe rivelarsi un azzardo[9],  perché “la scommessa di far ripartire l’economia italiana” avviene “senza aver prima vaccinato la maggioranza della popolazione”[10] e, quindi, in condizioni di effettiva o maggiore sicurezza.

Personalmente non riesco a scommettere sulla pelle dei più deboli. In realtà, gli ottimisti vedono a portata di mano il ritorno alla “normalità”, puntando sulla “crescita” sia pure sostenibile, sbagliano sia nella diagnosi – il male non è una parentesi ma l’autobiografia della specie – sia nella prognosi – la normalità preesistente alla pandemia è figlia della crescita che ci ha regalato il mondo attuale che non è il regno di Bengodi, ma per tre quarti del Pianeta, una prigione (Guglielmo Petroni). Temo che “saremo a lungo in felicità vigilata”[11] e non credo che la via d’uscita sia tornare a “crescere” e “riabituarsi a quella che chiamiamo normalità”[12].

In realtà, e questo è il terreno specifico dell’iniziativa della cultura, se dal piano della piccola politica ci si sposta e ci si solleva sul piano della grande politica, vale a dire di una politica in dialogo con la cultura, s’intende la cultura dell’iniziativa, ebbene, penso che dovremmo affrontare la pandemia come “segno rivelatore di una condizione culturale e sociale che coinvolge tutte le dimensioni della nostra vita”[13]. A mio avviso, se non vuole limitarsi ad accompagnare le mode e, anzi, al contrario, vuole cogliere e interpretare le tendenze, la cultura è chiamata a interrogarsi su se stessa, non più procrastinando la scelta fondamentale tra due culture: la cultura della genialità e la cultura dell’iniziativa: “Se la genialità ci impressiona, ci rassicura e ci solleva dai nostri obblighi, l’iniziativa ci emoziona, ci inquieta, ci richiama alle nostre responsabilità”[14]. Con le parole di Piero Gobetti si può dire che: “non c’è cultura fuori dell’iniziativa, della conquista, dell’esercizio diretto”.

Fondamentalmente il contrasto tra la cultura dell’iniziativa e la cultura della genialità è quello tra una cultura della complessità e una cultura della semplificazione. Un conflitto che ha radici antiche, direi secolari, di cui si possono trovare espressioni esemplari ascoltando la lezione dei classici. Ai semplificatori consiglierei di leggere o rileggere l’imperatore filosofo, Marco Aurelio: “Ricorda da quanto tempo rinvii queste cose quante volte, ricevuta una scadenza dagli dèi, non la metti a frutto. Devi finalmente comprendere quale sia il cosmo di cui sei parte, quale sia l’entità  del governo del cosmo della quale tu costituisci un’emanazione, e che hai un limite circoscritto di tempo, un tempo che, se non ne approfitti per conquistare la serenità, andrà perduto, e andrai perduto anche tu, e non vi sarà un’altra possibilità”[15]. Come ognun vede, una descrizione perfetta della nostra condizione: siamo chiamati di fronte a una nuova “scadenza” a metterla a frutto, non perdendo altro tempo, per non sprecare “un’altra possibilità”[16].

Troppo spesso purtroppo l’orizzonte della politica è quello delle prossime elezioni politiche generali (qualche anno) o addirittura quello delle imminenti elezioni amministrative (qualche mese), al contrario l’iniziativa della cultura deve svilupparsi sul terreno del governo dei processi di globalizzazione. Ciò significa comprendere e far comprendere la stretta interdipendenza tra le varie facce del problema – la salute fisica e psicologica delle persone, i diversi e alternativi modelli di sviluppo, il disastro ambientale e il futuro della terra. La globalizzazione affidata a “mani invisibili” produce ed accresce nuove diseguaglianze, ingrossando le fila del popolo degli ultimi, una massa ingente di poveri e di nuovi poveri[17]. L’interesse economico prevale sul destino del più debole, ma questo, dal punto di vita etico, è inammissibile: “Ci sono momenti della Storia in cui non si può che salvare vite umane. Poi si potrà pensare ai profitti”[18]

Contrastare la pandemia dal punto di vista della cultura dell’iniziativa significa finalmente comprendere che noi siamo una ”emanazione” del “governo del cosmo”, di cui siamo parte, e, grazie a una conoscenza effettuale delle cose, essere in grado di prevenire le conseguenze delle nostre azioni. Solo a questa condizione, ripensando il rapporto con sé e la cura dell’altro, forse potremmo anche uscirne migliori.

 

Note:

[1] Ringrazio la Fondazione culturale valdese di Torre Pellice di avere organizzato la presentazione del mio libro La cultura dell’iniziativa, aras edizioni, Fano [ottobre] 2020, venerdì 23 aprile 2021, con ospiti importanti come Maurizia Allisio, Assessore alla Cultura di  Torre Pellice e Presidente della Biblioteca delle Resistenze e del Museo della Stampa Clandestina; Bruna Peyrot e Davide Rosso rispettivamente Presidente e Direttore della Fondazione; Luca Jahier, Presidente CESE (Comitato economico e sociale europeo) 2018-2020; Valdo Spini, Presidente dell’Associazione degli istituti culturali italiani (AICI).

[2] Domenico Siniscalco, Il recovery dei cittadini, “la Repubblica”, venerdì 30 aprile 2021, p. 35. Se per “IL FOGLIO quotidiano”, il Piano Nazionale di Rinascita e di Resilienza è “uno splendido schiaffo ai vizi dell’Italia” (Claudio Cerasa, giovedì 29 aprile 2021, p. 1), invece per “il manifesto” il PNRR si fonda su “uno schema perfettamente neoliberista” (Luigi Pandolfi, giovedì 29 aprile 2021, p. 17).

[3] “Le riaperture vanno gestite con grandissima attenzione, in assenza di una garanzia di comportamenti responsabili e capacità di controllo dell’epidemia sarebbe bene aspettare di raggiungere adeguati livelli di immunizzazione della popolazione”. Così Guido Rasi, ex numero 1 dell’EMA e attuale consulente del generale Francesco Paolo Figliuolo, in una intervista rilasciata a Paolo Russo, “Per riaprire avrei aspettato più immunizzazioni. Astra Zeneca? Io lo farei”, “La Stampa”, sabato 17 aprile 2021, p. 8. “Aprire tutto e subito sarebbe una vera sciagura, in questo momento. Significherebbe vanificare gli sforzi dolorosi che il Paese ha compiuto fino ad ora”. Così Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia e membro del Comitato Tecnico Scientifico, in una intervista con Fiorenza Sarzanini, “Gli sforzi fatti non vanno vanificati. I politici badano a singoli settori”, “Corriere della Sera”, domenica 18 aprile 2021, p. 6.

[4] Ecci i titoli di prima pagina dei tre maggiori quotidiani del del 17 aprile 2021. “La Stampa”: Draghi riapre l’Italia. Entro l’estate ritorno alla normalità, se i dati lo permetteranno; e di  “la Repubblica”: L’Italia apre, scommessa di Draghi. Più prudente, in modo neutro e neutrale, come di consueto; “Corriere della Sera”: L’Italia riapre: le date e le regole. Diversa la direzione intrapresa, per fare un esempio, dalla Germania: Uski Audino (da Berlino), Merkel frena l’ottimismo dei tedeschi: “Situazione seria, serve il coprifuoco”, “La Stampa, sabato 17 aprile 2021, p. 11. Occhiello: “Contagi a livelli altissimi e terapie intensive in sofferenza. La cancelliera frena sulle aperture: impossibile fermare il virus senza lockdown”.

[5] F. Bei,  La doppia responsabilità, “la Repubblica”, sabato 17 aprile 2021, p. 29.

[6] E. Tognotti, Cambio di passo con i vaccini, “La Stampa”, sabato 17 aprile 2021, p. 1.

[7] M. Sorgi, I nuovi doveri, “La Stampa”, sabato 17 aprile 2021, p. 21.

[8] Il quotidiano diretto da Claudio Cerasa ha salutato la scommessa di Draghi con un editoriale del direttore, Ora di scommettere sull’Italia, in cui vengono delineate “le coordinate di una possibile e grande stagione di ottimismo”; un articolo di s. can, Il rischio calcolato, e uno di Luciano Capone, W il rischio ragionato, sabato 17 e domenica 18 aprile 2021, pp. 1 e 4. Il giorno della “ripartenza” –

26 aprile – “Il Foglio quotidiano” è uscito con una sovracoperta con le immagini di alcune persone sorridenti sotto il titolo L’ottimismo del futuro negli occhi di chi si vaccina.

[9] S. Feltri, Il pericoloso azzardo di riaprire troppo presto, “Domani”, domenica 19 aprile 2021, p. 1 e D. Ranieri, A quanti morti il governo dovrà dire: “Mannaggia la scommessa è persa”, “Il Fatto Quotidiano”, domenica 18 aprile 2021, p. 5.

[10] M. Molinari, Liberi sì ma responsabili contro il virus, “la Repubblica”, domenica 18 aprile 2021, p. 1.

[11] N. Aspesi, Noi in felicità vigilata. Come arriviamo alla possibile riapertura, “la Repubblica”, venerdì 16 aprile 2021, p. 35. “Vaccinate o no, le star della pandemia, cioè noi vecchi, non abbiamo tutti una gran fretta di tornare a correre e saltellare o anche solo deambulare con necessario bastone, liberi e felici fuori casa”.

[12] P. Di Paolo, A cena fuori, finalmente, “la Repubblica”, sabati 17 aprile 2021, p. 28.

[13] M. Cacciari, La grande politica per i giovani, “La Stampa”, sabato 17 aprile 2021, p. 21.

[14] P. Polito, La cultura dell’iniziativa, cit., pp. 15-16.

[15] Marco Aurelio, Pensieri (1993), a cura di E. V. Maltese, Garzanti, Milano 2020, p. 21.

[16] L’ottimismo degli entusiasti di casa nostra non va confuso con l’”ostinato ottimismo” di Christiana Figueres e Tom Rivett-Carnac, Scegliere il futuro. Affrontare la crisi climatica con ostinato ottimismo, Tlon, 2021. Global optimism è l’organizzazione fondata da Figueres per presentare iniziative concrete sulla lotta al cambiamento climatico.

[17] M. Revelli, Le sfide della pandemia, il potere e il trionfo dell’avidità, “il manifesto”, domenica 18 aprile 2021, pp. 1 e 7.

[18] Aldo Morrone, “Senza inclusione, qui e nel mondo ne usciremo fra 8 anni”, intervista a cura di Eleonora Martini, “il manifesto”, venerdì 23 aprile 2021, p.5. Per Morrone, siamo di fronte a “una vera e propria sindemia che sta determinando un profondo sconvolgimento del pianeta: ha causato problemi economici, sociali, culturali, politici e addirittura di geopolitica nel caso dei vaccini, assolutamente drammatici”. Anzi il termine sindemia, proposto da Merril Singer negli anni Novanta si rivela insufficiente per definire il “salto di specie” determinato dal virus: “per superare questa emergenza non basteranno farmaci e vaccini ma occorrerà un nuovo sviluppo economico”. Morrone è il direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano di Roma ed è autore del libro Covid 19 tra mito e realtà. Luci ed ombre della pandemia che ha travolto il pianeta,  Armando, Roma 2021.

 

 

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