Quando le immagini scorrono sullo schermo del telefono provo subito un certo fastidio, pur non avendo ancora una conoscenza accurata dei fatti; incredulo, faccio scorrere le
stories[1] una dopo l’altra. Lì in mezzo ci sarà qualcuno che conosco? Allora eccomi ad analizzare ogni video disponibile, ogni manganellata, ogni cranio ed ogni viso sul quale si vede scorrere il sangue, un sangue parecchio giovane. «Torino tutto bene?», scrive sui social una ragazza che conosco allegando i video di quei momenti. Voglio sapere cosa sta accadendo in quella piazza tanto cara alla storia del capoluogo piemontese ed allora scrivo a M. che lavora presso il Centro Studi Piero Gobetti in via Antonio Fabro a Torino. Il Centro, chiamato affettuosamente così dai suoi avventori, si affaccia su Piazza Arbarello, silenzioso, custode della propria storia ma con la volontà di essere “in sintonia con il presente”, anche nei fatti del gennaio 2022. M. risponde subito: «Non puoi capire. Assurdo Luca. Assurdo. Ci sono state anche delle cariche». Nei video si sentono delle voci urlare «Ma che fate? Ve la prendete con dei quindicenni?». Nel mentre sui social le notizie cominciano a circolare: si, la polizia ha caricato gli studenti.
Il 28 di gennaio ci sono state cariche contro i ragazzi in protesta a Torino, Milano e Napoli. Pochi giorni prima, il 23, analoghe scene si sono viste nella Capitale. Denominatore comune relativo agli episodi, al di là dell’età dei partecipanti, l’utilizzo della forza da parte delle istituzioni.
A Torino le sequenze video mostrano le forze dell’ordine manganellare dei ragazzi molto giovani, dei ragazzini anzi; la maggior parte dei manifestanti era costituita da studenti di istituti secondari di secondo grado. Ora, per quanto le immagini possano ingannare l’occhio umano, la moltitudine di apparecchi con la quale sono state riprese, così come la quantità di angolazioni sulla scena, non lasciano spazio a particolari dubbi: al primo accenno di pressione da parte dei manifestanti sul cordone di polizia, gli agenti hanno risposto con i manganelli e con le cariche di alleggerimento. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese parlerà in seguito di «infiltrati» che probabilmente non ci sono stati
[2]; qualche membro di Askatasuna verosimilmente si confondeva tra ragazzini, ma nulla, nessun gesto che giustificasse una simile repressione. Nei giorni successivi si è parlato più volte di “cortocircuito” e la vicenda è stata illustrata dalle istituzioni seguendo questa narrazione: la manifestazione a Torino era consentita si, ma maniera statica e così, quando i pericolosi manifestanti hanno provato ad avanzare, la polizia ha reagito applicando le regole «forse con un eccesso di durezza
[3]». Viene da chiedersi dove erano le cariche di alleggerimento e i manganelli quando dei delinquenti assaltavano la sede della CGIL a Roma lo scorso ottobre. In ogni caso, per quanto riguarda la città sabauda, si parla di una ventina di ragazzi «andati all’ospedale e usciti di lì con collari, fasciature e lussazioni
[4]», si legge su
Domani del 1° febbraio. Nelle altre città coinvolte lo spettacolo non appare troppo dissimile: la polizia in tenuta anti-sommossa ha evitato la partenza dei cortei studenteschi. Eppure questa storia, che parla di ragazzi agguerriti, di colpi di mano e anche di testa, comincia qualche mese prima a Roma, dove già in autunno gli studenti si agitavano, si organizzavano ed in breve tempo occupavano decine di istituti superiori. Come ricorda Giansandro Merli nell’articolo
«La Lupa siamo noi», il grido delle scuole in movimento[5], in dicembre questa mobilitazione, per la voracità e la foga con la quale aveva conquistato un istituto dopo l’altro, veniva associata da Giuseppe di Piazza ad una lupa. Nasceva così il movimento
La Lupa- scuole in lotta che riuniva i rappresentanti dei collettivi degli istituti coinvolti. Quello il punto d’inizio ed ora, mentre scrivo, scuole occupate si registrano in tutta la penisola italiana.
Le manifestazioni in gennaio dei giovanissimi, quelle delle teste rotte e dei manganelli, trovano il loro
casus belli nella morte di un coetaneo, deceduto durante un programma di tirocinio che rientrava nel sistema duale, che non è il PCTO come diversi quotidiani hanno scritto preda al superficialismo cronachistico. Lo studente stava svolgendo un tirocinio previsto per gli istituti professionali
[6], come quello da lui frequentato, che è altra cosa rispetto all’Alternanza Scuola-Lavoro
[7], eredità della
Buona Scuola del Governo Renzi, divenuta in seguito
Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento[8], PCTO appunto.
Lorenzo Parelli muore il 21 gennaio 2022, schiacciato da una putrella d’acciaio di 150 chilogrammi durante un tirocinio presso l’azienda metalmeccanica
Burimec di Lauzacco, in provincia di Udine
[9], questo l’evento che ha innescato le piazze. Come da prassi la procura ha disposto l’apertura di un fascicolo per omicidio colposo; due gli iscritti al registro degli indagati. Nell’attesa che la giustizia italiana faccia il suo corso, le parole del coordinatore della Rete studenti medi, Tommaso Biancuzzi, apparse il 5 febbraio su
La Stampa, suonano dolorose e contribuiscono ad ampliare il quadro di ingiustizie entro il quale è inserita questa triste ma necessaria narrazione:
Purtroppo, era statisticamente prevedibile, quando si espone uno studente alle contraddizioni del mercato in un Paese dove in un giorno ci sono 4 morti sul lavoro, non puoi aspettarti un risultato diverso, è solo questione di tempo
[10].
Ma chi sono questi studenti, questi giovani, che si dichiarano disposti a subire altre cariche e a prendere ulteriori manganellate per continuare a cercare di farsi sentire? Donatella di Cesare su
Il Fatto Quotidiano del 3 febbraio ne da una definizione che pare calzante: «Parliamo di una generazione senza voce, di cui si discute di continuo senza mai che la si ascolti davvero, come successo durante tutta la pandemia
[11]». In queste parole c’è gran parte del senso che gli studenti hanno voluto e vogliono dare alle loro proteste: essere ascoltati ed essere coinvolti attivamente nei discorsi che li riguardano, dall’Alternanza scuola-lavoro alla Didattica a distanza, dalla Maturità all’edilizia scolastica passando per benessere psicologico che può sembrare cosa banale ma non lo è affatto. Il Ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi pare non voler ascoltare questi richiami ed è proprio la perseveranza nel voler ignorare che ha esacerbato ulteriormente gli animi degli ragazzi: la decisione, di pochi giorni orsono, di cambiare nuovamente le regole della maturità non ha fatto altro che far infuriare ulteriormente i futuri esaminati. Eppure una definizione come quella della Di Cesare non può che assumere una dimensione generale e semplificata, quantomeno semplificativa. Quello degli studenti si è dimostrato infatti un fronte ampio, frastagliato, in cui coesistono, per ora spontaneamente, anime differenti. I collettivi hanno un ruolo fondamentale nella vicenda, come suggerisce la storia del movimento romano
La Lupa, eppure accanto a loro troviamo organizzazioni politiche, associazioni e sindacati: Unione degli Studenti, Opposizione studentesca d’alternativa, Rete degli studenti medi, Confederazione Unitaria di Base, CGIL, Fronte della gioventù comunista e tanti altri. Un miscuglio o un’accozzaglia potrebbe pensare qualche malevolo, eppure un miscuglio che ha come nucleo gli studenti delle scuole superiori: loro sono la forza di questo movimento ed i numeri lo stanno dimostrando mentre il resto appare forse più come un contorno di sigle. Lo mostrano le dichiarazioni dei rappresentanti di molti degli istituti coinvolti nelle manifestazioni che hanno preso le distanze, continuano a farlo, da un’eccessiva radicalizzazione della lotta che rischia di vanificare gli sforzi e il senso delle richieste avanzate. Altro aspetto importante: la violenza non dovrà costituire il mezzo tramite il quale avverrà il cambiamento. Certamente la consapevolezza non guida ogni singolo studente od ogni gruppo coinvolto, nonostante ciò il sentore è quello di trovarsi di fronte a dei giovani che perlomeno dimostrano di sapere perché secondo loro questo sistema non funziona e che stanno provando a capire, insieme, come ed in cosa lo vorrebbero trasformare. Assemblee, partecipazioni, tavoli, e votazioni sono i temi che ciascuno può osservare materializzati nelle scuole italiane in questo periodo, se non fisicamente quantomeno sui social, tramite i quali i ragazzi si coordinano, anche a livello nazionale.
Nessuno può con certezza affermare se i cambiamenti richiesti dagli studenti avverranno e, nel caso dovessero, in che modo ciò sarà. Allo stesso modo non è possibile sapere se queste mobilitazioni evolveranno in un movimentismo tale da lasciare un segno tangibile del proprio passaggio.
Erri De Luca, si legge su
Il Fatto Quotidiano del 3 febbraio, ha definito la protesta dei giovani «atto di coscienza di questa parte di società civile
[12]». Cercando di evitare facili entusiasmi, che sono sempre deleteri, ci sono ragioni evidenti per credere che agli studenti vada riconosciuto il merito di averci dimostrato che una scuola che non funziona va cambiata e basta, non tollerata nella stasi di un dilagante passivismo. Mi tornano alla mente le parole di Franco Antonicelli, intellettuale, tra i fondatori dello stesso Centro Studi Piero Gobetti che visse dai banchi del Senato il ’68 italiano:
Una nuova società si va formando, articolando, e sono i giovani a gettarne le basi ideali, sono gli studenti a cominciare queste costruzioni: da dove? Da quelle scuole, naturalmente, che essi vogliono rendere davvero utili alla loro vita
[13].
Note:
[1] Le
Stories sono una funzione della piattaforma
Instagram, che si basa sulla condivisione, anche in tempo reale, di immagini e video.
[2] Trocchia, N. (7 febbraio 2022). Lamorgese sbaglia tutto ma resta salda al Viminale,
Domani, p. 3.
[3] Grignetti, F. & Tropeano, M. (1 febbraio 2022). Cariche sugli studenti il sindaco Lorusso “Basta manganelli”.
La Stampa, p.16.
[4] Lucarelli S. (1 febbraio 2022). C’è una “strategia del manganello” per spaventare gli studenti in piazza,
Domani, p.1.
[5] Merli G. (5 febbraio 2022). «La Lupa siamo noi», il grido delle scuole in movimento.
Il manifesto, p.3.
[9] Camilli, A. (29 gennaio 2022). Morire di scuola e di lavoro a 18 anni.
L’essenziale, pp. 2-3.
[10] Amabile, F. (5 febbraio 2022). Lo sfogo dei ragazzi contro il governo “In questa fase gli immaturi siete voi”,
La Stampa, p. 11.
[11] Di Cesare, D. (3 febbraio 2022). Il ministro non se la prenda con gli “infiltrati”, ma con gli agenti,
Il fatto quotidiano, p. 9.
[12] De Luca, E. (3 febbraio 2022). È una vigliaccheria colpire i più fragili: si accertino le responsabilità,
Il fatto quotidiano, p. 9.
[13] Dal discorso pronunciato al Senato in data 10 Ottobre 1968, dal titolo
Sul significato dell’amnistia agli studenti, in
Uno storico del presente. Franco Antonicelli, a cura di Marco Revelli e Andrea Gobetti, presentazione di Giovanni De Luna, Tipografia Toso, Torino, 1975, cit., p.29.