La Resistenza per la pace. Per il 25 aprile 2022
di Pietro Polito

Come emerge dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea la pace è uno degli ideali, se non l’ideale supremo, della Resistenza[1]. Le Lettere sono l’estremo saluto alla vita di operai e sacerdoti, intellettuali e contadini, comunisti, socialisti, cattolici, liberali, tutti animati da un comune sentire in nome dei grandi ideali supremi che accompagnano la storia dell’umanità: l’affermazione delle principali libertà civili e del diritto dell’individuo a essere riconosciuto come persona; l’attuazione di una maggiore giustizia sociale; il ritorno a uno stato di pace dopo una lunga guerra devastatrice. Per uno dei condannati, la guerra è “la più grande sciagura dell’umanità”.  E un altro crede che dopo questa guerra “venga una pace che renda possibile per molto tempo, e forse per sempre, la felicità”. L’ideale della pace si sposa con quello di una maggiore fratellanza tra gli uomini indipendentemente dalla posizione sociale, fede politica o religiosa, in uno spirito di solidarietà e di apertura a rapporti sociali ispirati all’altruismo.

Con accenti diversi, malinconia, letizia, fierezza, semplicità senza pose, il senso di essere dalla parte giusta è costante e indubitato in ciascuno dei condannati a morte. Non tutti hanno una visione generale chiara e precisa in cui inserire la propria esperienza, ma il fatto stesso di avere scelto di combattere da una certa parte non può non implicare un preciso giudizio morale e politico: “Tra coloro che hanno preso spontaneamente le armi per ripristinare in Italia la libertà e coloro che le hanno prese, se pure in alcune circostanze costretti, per ribadire nel nostro paese la dominazione nazista di uno dei più infami regimi che la storia ricordi, il giudizio storico è dato una volta per sempre”[2]. Tutti giungono alla medesima conclusione: “Non potevo fare altrimenti”.

L’alternativa non è da porre tra una maggioranza grigia che si adagiò nell’indifferenza e una minoranza indistinta che mise a repentaglio la propria vita: altro è rischiare la vita per perpetuare la dittatura, altro è essere disposti a morire per avere agito per un’idea. Quale idea? L’idea comune alle varie anime della Resistenza è la restaurazione dei principi di libertà, giustizia e pace conculcati dal fascismo. Ma attenzione: il fascismo non è solo una malattia, curata la quale il corpo ritorna a rifiorire: dietro il fascismo ci sono i nostri vizi, il nostro temperamento, i nostri costumi: l’autobiografia della nazione.

Come c’insegna Bobbio, lo spirito della Resistenza è nella interdipendenza e nella solidarietà tra i tre grandi ideali della libertà personale, della giustizia sociale e della pace tra le nazioni. Su questi principi si regge la nostra Costituzione. L’ideale della libertà personale è affermato nell’art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; l’ideale della giustizia nell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; l’ideale della pace nell’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”[3].

Chi ama la guerra, non l’ha vista in faccia. Tra le voci classiche che si sono levate contro la guerra per la pace, la parola del grande umanista, Erasmo da Rotterdam suona alta, quanto inascoltata, per l’Europa di oggi impegnata in una prova in cui è in gioco il suo destino e il suo possibile futuro. Gli uomini e le donne di pace guardano ad Erasmo, che avversò per tutta la vita, come nemici della pace, per un verso il fanatismo dei religiosi, per l’altro verso la volontà di potenza dei principi. Erasmo rappresenta il modello ideale del saggio. Tra lo spirito erasmiano e lo spirito di pace c’è una perfetta identità. Infatti, lo sguardo erasmiano, pur non comportando la rinuncia a un punto di vista, consiste nell’anteporre l’amore della verità e della giustizia alle ragioni della propria causa. La pace, “sorgente di ogni umana felicità”, quando viene “scacciata e respinta da ogni dove”, eleva il suo lamento: “E poi, privarsi dei tanti, eccellenti vantaggi di cui sono portatrice, sostituendoli di proposito con l’idea repellente di tutti i guai, non è suprema, lampante follia?” [4].

Il lamento della pace di erasmiana memoria risuona vitale nel Testamento spirituale – un intenso messaggio contro la guerra atomica – del grande scienziato Albert Einstein: “Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non vi sono più tali passi; la domanda che dobbiamo rivolgerci è: «quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito darebbe disastroso per tutte le parti?»”[5].

Per Norberto Bobbio, i problemi fondamentali del nostro tempo sono il problema dei diritti dell’uomo e quello della pace, “fondamentali nel senso che dalla soluzione del problema della pace dipende la nostra stessa sopravvivenza, e la soluzione del problema dei diritti dell’uomo è l’unico segno certo del progresso civile”. La guerra è “il problema cruciale che l’umanità dovrà affrontare nel prossimo avvenire” perché lo stato di guerra effettivo, ma anche quello solo potenziale, è incompatibile con i diritti di libertà, con il diritto alla vita e con il diritto a vivere[6].

 

Note:

[1] Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, prefazione di Thomas Mann, Einaudi Torino, 1966.

[2] N. Bobbio, A novant'anni, in Id., Eravamo ridiventati uomini. Testimonianze e discorsi sulla Resistenza in Italia 1955-1999, a cura di Pina Impagliazzo e Pietro Polito, Einaudi, Torino, 2015, p. 142.

[3] N. Bobbio, Resistenza e Costituzione e Costituzione e Resistenza in Id., Eravamo diventati uomini., pp. 89-94 e 126-134.

[4] Erasmo da Rotterdam, Il lamento della pace, a cura di Carlo Carena, Einudi, Torino, 1990, pp. 7, 9; Id., Adagia, sei saggi politici in forma di proverbi, a cura di Silvana Seodel Menchi, Einaudi, Torino, 1980, pp. 197- 207.

[5] Albert Einstein, Come io vedo il mondo, Newton Compton editori, Roma 1975, p. 119.

[6] Norberto Bobbio, I diritti dell’uomo e la pace, in Id., Il terzo assente. Saggi e discorsi sulla pace e sulla guerra, a cura di Pietro Polito, Edizioni Sonda, Torino 1989, pp. 92-96.

 

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