Quando tutto è cominciato.
Ricordo di Carlo Smuraglia

di Francesco Campobello


La vita di Carlo Smuraglia inizia l’8 settembre 1943. Anche se era nato il 12 agosto di vent’anni prima, amava ricordare come per vita si intendesse una vita culturale, politica, di iniziativa. Carlo Smuraglia quel giorno fece la sua scelta di coerenza, che ha proseguito per tutta la vita. Una scelta difficile, una scelta di coraggio, una scelta giusta.

Mi fa piacere ricordarlo a partire dalla prima pagina del libro “Con la Costituzione nel cuore. Conversazioni su storia, memoria e politica" (Edizioni Gruppo Abele, 2018), dove con la consueta parsimonia di aggettivi si racconta.

Grazie Carlo per il tuo esempio.

Francesco Campobello

***

Parto, per iniziare questa conversazione, da una data altamente simbolica: l’8 settembre 1943. È la data in cui tutto è cominciato: il cammino del Paese verso la democrazia e, per lei personalmente, una lunga e intensa vita politica. Quel giorno è finita una fase della nostra storia nazionale. Tutto nel giro di poche ore: l’annuncio dell’armistizio con le forze alleate, da parte del generale Badoglio, la trasformazione dei nazifascisti in nemici, la fuga verso Brindisi del re, dei suoi generali, della sua corte, l’esercito allo sbando. C’è chi ha sottolineato di quel giorno il senso della disfatta ma altri hanno sostenuto che quello fu il momento della scelta, il momento in cui alcuni non si rassegnarono e cominciarono una nuova storia. Lei allora aveva vent’anni e, come i protagonisti della canzone Oltre il ponte scritta da Italo Calvino sulla musica di Sergio Liberovici, fece la sua scelta. È proprio così. L’8 settembre è stato, nel mio vissuto, il giorno della disfatta, del venir meno della struttura istituzionale, dello Stato che fugge, dell’esercito che si dissolve, dei soldati che cercano di tornare a casa; ma non è stato il giorno della fine. Già l’indomani ci fu la battaglia di Piombino, dove cittadini e militari della marina buttarono letteralmente in mare i tedeschi. E gli atti simili furono moltissimi. Come se – per usare le parole di Piero Calamandrei – una voce che veniva dal profondo della terra invitasse tutti a cogliere l’occasione del riscatto. È un’affermazione un po’ retorica ma sostanzialmente corretta.

Furono, infatti, molti, in varie parti d’Italia, i gesti di rivolta contro i tedeschi che si erano incattiviti contro gli italiani, considerati traditori, e si comportavano con particolare violenza. Molti militari non aderirono alla Repubblica di Salò quando fu costituita (il 23 settembre) e si ribellarono: alcuni perché ritenevano ancora valido il giuramento prestato al re; altri più semplicemente perché non volevano l’occupazione tedesca. E altrettanto fecero diversi cittadini. In quel mese, particolarmente nel Centro-Sud, ci furono violenze efferate di tedeschi e fascisti. Ma ci furono anche episodi (dalle quattro giornate di Napoli agli atti di resistenza all’Università di Padova) di forte opposizione: non a opera di tutto il popolo, ma certo di una sua parte consistente. Queste vicende sono il segno che qualcosa, nel settembre del 1943, stava cambiando in direzione della libertà. L’8 settembre colse tutti di sorpresa perché l’armistizio fu concluso nella forma peggiore, fu annunciato in maniera confusa e sommaria, non fu seguito da ordini precisi. Ciononostante si susseguirono atti di vero eroismo. Ricordo il caso della divisione Acqui a Cefalonia: i soldati rimasero privi di ordini e disorientati mentre il generale Gandini cercava inutilmente un contatto con i vertici militari per chiedere istruzioni e i tedeschi pressavano per la resa. Ci fu una specie di  consultazione di ufficiali e soldati; la gran parte decise di non arrendersi e molti furono fucilati dai tedeschi. Fu un atto di vera e propria resistenza.

Questi atti – per quello che potevamo sapere – furono una scuola di formazione per un giovane come me, vissuto fino ad allora con idee politiche molto generiche. In quel periodo si era colpiti dal dissolversi dello Stato ma anche da reazioni come il discorso pronunciato da Concetto Marchesi all’Università di Padova. Quel discorso fu percepito da molti, e anche da me, allora studente alla Scuola Normale superiore di Pisa, come un invito alla ribellione. Il che fare e il come agire furono oggetto di grandi discussioni con gli altri studenti dell’Università. C’erano riunioni serali e notturne in cui si discuteva su tutto, con idee ancora molto vaghe, molto grezze, ma sempre idee di libertà. In molti andavano a seguire le lezioni di professori non omologati al fascismo come Guido Calogero, che teneva un corso in cui, nonostante le inevitabili cautele, si sentiva un’ansia di libertà. Questo era il clima in cui si viveva alla Normale. E presto arrivò il momento della scelta: si poteva restare nella Scuola (con il rischio di essere aggregati alla Repubblica sociale o di essere presi e portati in Germania) oppure scegliere di darsi alla latitanza e di iniziare un percorso di resistenza. Restare all’Università mi sarebbe piaciuto: avevo vinto un concorso. Eppure…

Centro studi Piero Gobetti

Via Antonio Fabro, 6
10122 Torino
c.f 80085610014
 
Tel. +39 011 531429
Mail. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Pec. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Iscriviti alla Newsletter

Inserisci la tua mail e sarai sempre
aggiornato sulle nostre attività!