Chiave di lettura - 08/19

Togliatti, il realismo della politica
a cura di Jacopo Bernardini


Della figura di Palmiro Togliatti, descritta dallo storico Gianluca Fiocco nel suo recente volume Togliatti, il realismo della politica, emerge costante il suo tentativo di ricercare vie sempre nuove al socialismo, adattandosi alla complessità dei diversi contesti storici attraversati. A partire dal movimento dei Consigli di fabbrica torinesi, quando il futuro leader del PCI uscì dalla dimensione giornalistica della testata politica «Ordine Nuovo» per assumere compiti prettamente politici, la sua fiducia in una rivoluzione imminente all’interno del contesto italiano (e non solo) si scontrò con il fallimento delle occupazioni delle fabbriche, «canto del cigno» del movimento operaio durante il biennio rosso, e la progressiva affermazione del fascismo, di cui Togliatti si occupò fin da subito, mettendone in luce le più profonde contraddizioni.

Fiocco pone particolare attenzione alle Tesi di Lione, presentate nella città francese al III Congresso del PCD’I del gennaio 1926, dove confluivano non solo le suggestioni di Togliatti, maturate durante gli anni trascorsi all’Università di Torino, ma anche quelle di Antonio Gramsci: una convergenza tra i due «pesi massimi» del comunismo italiano che diventò presto rottura a causa della presa di distanze gramsciana dal marxismo sovietico. Complessa fu la battaglia di Togliatti per gestire la drammatica vicenda della prigionia di Gramsci e della diffusione dei suoi scritti: l’evidente eterodossia gramsciana aveva bisogno di tempi migliori per prosperare, in modo tale da non pesare eccessivamente sui comunisti italiani, sempre più insidiosamente legati al PCUS.
Questa «irrimediabile compromissione» (p.16) di Togliatti con il regime sovietico viene analizzata da Fiocco tenendo conto di ogni sfaccettatura. Ai vertici del comunismo internazionale a partire dal 1934, grazie alla sua posizione nel Comintern e al rapporto diretto con Stalin, Togliatti dapprima si fece promotore di una politica di convergenza con chiunque fosse disposto a combattere il fascismo, cercando di sfruttare ogni possibile contrasto all’interno delle potenze imperialistiche con il proposito di allontanare lo spettro della guerra che aleggiava sull’Europa e sul Mondo mentre successivamente, con l’inizio delle ostilità, maturò l’idea di utilizzare gli ampi spazi lasciati dal conflitto per orientare l’azione dei partiti comunisti nelle diverse realtà nazionali, con la consapevolezza, tuttavia, che Mosca non avrebbe mai «rinunciato a esercitare un controllo sui partiti fratelli» (p.166).
Con la morte di Stalin nel 1953 e la svolta del XX Congresso del PCUS, durante il quale venne diramato il celebre «rapporto segreto» sul leader sovietico, Togliatti, nell’intervista rilasciata nel numero di maggio-giugno della rivista «Nuovi Argomenti», rigettava la teoria del «culto della personalità» esposta, puntando il dito contro i guasti prodotti dal processo crescente di burocratizzazione dell’URSS ed il progressivo distacco dal paese «reale», nonostante «la linea seguita nella costruzione socialista continuò ad essere giusta» (p. 301). Per il segretario del PCI era necessario proseguire nell’elaborazione di una «via italiana» al socialismo, piattaforma teorica distinta da quella sovietica, sottolineando che questo sforzo di rinnovamento non era frutto delle rilevazioni di Chruščëv o dell’impressione suscitata dalle vicende ungheresi e polacche del 1956, bensì aveva alle spalle un cammino iniziato con la svolta di Salerno.
Il 27 marzo ‘44 diventa così un momento cruciale nella vita politica di Togliatti e del paese: la «bomba Ercoli» (come venne chiamata nell’«Avanti!», riferendosi allo pseudonimo utilizzato dal segretario del PCI durante gli anni dell’esilio moscovita) rappresentava un’inedita politica di unità nazionale che aveva il suo fulcro nel «partito nuovo», formazione politica di massa in grado di rappresentare le diverse forze popolari, traghettandole verso importanti conquiste sociali. Non più una diffusione del socialismo attraverso le «baionette dell’Armata Rossa» ma un nuovo percorso originale, che si inseriva nella «prospettiva di un confronto di lungo periodo tra blocchi
economico-sociali (e statuali) alternativi» (p. 227). La neonata democrazia italiana poteva così trovare nel PCI un solido pilastro.
Tuttavia, come Fiocco tiene a puntualizzare nel suo saggio, non vi era un unico pilastro ma una struttura complessa, fatta di diverse istanze momentaneamente unite dalla comune lotta antifascista. La battaglia istituzionale per la Repubblica, culminata con la stesura della Costituzione, venne intrapresa da Togliatti con il consueto realismo, accettando di volta in volta i compromessi che gli sembravano necessari con le potenze straniere e le altre forze politiche, mediando «tra i principi e le istanze dei partiti operai e quelli della Democrazia Cristiana» (p.194). Per lo storico Paul Ginsborg l’erroneo giudizio di Togliatti sulla «effettiva natura» della DC, vista come forza «potenzialmente progressiva» nella società italiana, creò una persistente debolezza nella «strategia comunista» del secondo dopoguerra (Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, p.108): Fiocco in parte sembra concordare con questa tesi, ma afferma altresì che solo grazie a tale approccio De Gasperi poté avere la garanzia che il movimento operaio sarebbe rimasto all’interno dell’alveo costituzionale. Togliatti si mantenne dunque fedele alla linea di Salerno e al «consolidamento dell’edificio repubblicano» (p.219), anche quando l’attentato da lui subito il 14 luglio del 1948 sembrava profilare lo scoppio di un’ondata insurrezionale nel Paese. Di fronte al pericolo di rigurgiti reazionari, per il segretario del PCI era imprescindibile evitare di cadere in provocazioni che avrebbero causato l’isolamento politico dei comunisti, impedendo così importanti riforme strutturali.
«Simili per vivacità mentale e anche per aspetto fisico, i leader dei due grandi partiti (Togliatti e De Gasperi) si fronteggiavano l’un l’altro al tavolo del Consiglio dei ministri in un pacato ma incessante confronto di personalità» (Hughes, The United States and Italy, p.141): punto di rottura in questo rapporto viene individuato da Fiocco nel 1953, quando la DC, alla ricerca di un esecutivo «forte» in grado di fronteggiare il dissenso interno, diede vita ad una nuova legge elettorale, la cosiddetta «legge truffa». Togliatti vide così vanificata la speranza che le componenti riformatrici della maggioranza centrista potessero favorire uno sviluppo della dialettica parlamentare, mutando radicalmente giudizio su De Gasperi: quest’ultimo veniva raffigurato come «l’uomo che aveva disertato i lavori della Costituente e poi bloccato l’applicazione della carta costituzionale, mantenendo una continuità legislativa con il fascismo»; in politica estera egli «non avrebbe fatto altro che assecondare le mire dell’imperialismo americano»; in politica interna avrebbe imposto «quel modello di bassi salari e consumi» che aveva caratterizzato lo sviluppo industriale del Paese fin dalle origini (p. 275).
Togliatti cercò di analizzare le trasformazioni sociali del miracolo economico ed i cambiamenti nel processo produttivo industriale innescati dal pieno dispiegamento del taylorismo e del fordismo. Rifiutando ogni determinismo, il segretario del PCI era convinto che l’evoluzione tecnologica non portasse necessariamente ad un progresso civile. La nascita dell’«operaio massa» (p.365) portava a forme nuove di conflittualità in cui il Partito comunista si sarebbe dovuto inserire per infondere una «coscienza socialista» nei giovani lavoratori, creando parallelamente una nuova leva di studiosi in grado di influire all’interno di questa dinamica. Al cambiamento nel modo di produrre e consumare della società italiana andava dunque affiancato un cambiamento della vita politica.
Con il suo libro Gianluca Fiocco rende evidente come «il contrasto tra i sostenitori della autonomia o della eteronomia di Togliatti rispetto all’URSS» (p.17) non avesse mai avuto motivo di esistere: cercando da una parte di assecondare la strategia ed i bisogni del movimento comunista internazionale, dall’altra maturando ogni sua proposta con lo sguardo rivolto alla peculiare strada evolutiva intrapresa nel contesto italiano, sotto la guida di Togliatti il PCI si trasformò da un piccolo partito di quadri nella più grande organizzazione comunista del mondo occidentale.

 

Recensione a Togliatti, il realismo della politica, Gianluca Fiocco (Carocci editore, Roma, 2018, pp.478)

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