Chiave di lettura - 03/20

Cosa fai in giro?
Su Cesare Cases e Franco Fortini
 
di Cesare Pianciola
 
 
 
          Le Edizioni dell'asino hanno riproposto un anno fa Cosa fai in giro? (pp. 55, € 8), uno dei testi più belli di Cesare Cases (1920-2005), germanista e acuto critico della letteratura tedesca e italiana, che a lungo si ispirò all'insegnamento di Lukács. Il racconto è preceduto da una puntuale introduzione di Luca Baranelli, che, quando lavorava da Einaudi e poi alla Loescher, ebbe una profonda e duratura amicizia con Cases, e che nel 1988 annotò con la consueta acribia filologica Cosa fai in giro? che Remo Ceserani e Lidia De Federicis avevano voluto inserire nell'ultimo volume de Il materiale e l'immaginario dedicato alla contemporaneità.
Cosa fai in giro? è uno scritto autobiografico, pubblicato nel 1978 su un numero del “Ponte” nel quarantennale delle leggi razziali e poi ripreso come primo testo della raccolta Il testimone secondario (Einaudi, 1985).
          L'incipit introduce il tema dell'ebraismo e dell'antisemitismo tra il serio e il faceto, che è poi il registro di tutto lo scritto: “Un mio amico torinese che da qualche tempo lavora a Milano torna indignato per l’antisemitismo che crede di aver riscontrato in quella città, suscitando il mio stupore. Alla mia bambina, ghiotta di angurie, mia moglie ha comprato come primizia un’anguria israeliana. Ne metto in dubbio la qualità, e la bambina, che la trova buona, protesta: 'Ma papà, il tuo antisemitismo si estende fino alle angurie?'”.
          Cases  evoca, con un raro impasto di tristezza e ironia (come gli scrisse Sebastiano Timpanaro), la propria infanzia e adolescenza in una famiglia di ebrei laici e assimilati della media borghesia milanese, una famiglia che non si rende ben conto della gravità e delle possibili tragiche conseguenze delle leggi del 1938, per le quali il giovane Cesare dovette frequentare l'ultimo anno di liceo alla scuola ebraica e sostenere la maturità come privatista (più tardi, durante la guerra, si rifugerà a Zurigo, dove stringerà con Franco Fortini un'amicizia che durerà tutta la vita). Dopo l'8 settembre 1943 a un collega avvocato che incontra e gli dice in milanese “Cosa fai in giro?” (da cui il titolo dello scritto), avvertendolo dei rischi che corre, il padre di Cesare oppone la sua fiducia nelle leggi, ma quello replica che, leggi o non leggi, i tedeschi li deporteranno.
          Cases allarga alla situazione italiana – generalizzando eccessivamente, gli hanno rimproverato alcuni – una particolare condizione della borghesia milanese che egli ha vissuto: “tramontata la comunità ebraica come fatto culturale, salvo che nell'ebraismo orientale cui erano ancora vicini gli scrittori tedeschi e mitteleuropei, essere ebrei significava semplicemente un modo di essere borghesi”. Ma subito aggiunge “il senso di provvisorietà e di insoddisfazione” che derivava anche dalle “persecuzioni, dimenticate ma non scomparse nel subconscio”. Negli anni Trenta si materializzavano solo come oscuro presentimento, vedendo gli ebrei profughi dalla Germania nazista.
          Bellissime le affettuose pagine dedicate all'unico antisemita tra i compagni di scuola, il toscano Arnaldo Ceccherini, con il quale si prende a botte, ma ritrova qualche anno dopo antifascista e poi saprà che è morto partigiano: “Forse è solo per ritrovarti che sono sceso nel pozzo del passato”.  Dal pozzo della memoria emergono nitidamente una quantità di figure, dal lontano ascendente Israele Carmi, che si oppose coraggiosamente alle ire livellatrici di Napoleone, fino a Franca Norsa, una vivace bambina che frequentava le lezioni di religione ebraica insieme al piccolo Cesare e che diventerà l'attrice Franca Valeri.
          Vorrei precisare la cifra di Cases – tra “la passività scettica e l'accensione”, come dice nella premessa al Testimone secondario – ricordando il suo rapporto con Fortini, cui ho già accennato sulla rivista di Goffredo Fofi “Gli asini”.
Cases era molto vicino a Fortini, che aiutò anche a rivedere la traduzione del Faust. In Cases però confluivano le eredità dell'illuminismo lombardo e della autoironia ebraica, che gli impedivano di assumere il corruccio profetico e adirato spesso presente nell'amico. Nell'Ospite ingrato, una splendida raccolta di epigrammi, versi e brevi testi di Fortini, uscito da De Donato nel 1966 col sottotitolo Testi e note per versi ironici, Cases è l'“equo coerente inquieto cauto Cases”: coerente e inquieto, ma anche eccessivamente equo e cauto.
          Cases non sminuiva affatto la “speranza di una vera Terra Promessa in cui sia possibile essere miti senza essere vittime, la felicità senza sopraffazione, la religiosità senza Dio, l'attività senza maledizione del lavoro, l'attaccamento alle cose senza il denaro, la cultura senza il suo ruolo repressivo” (Cosa fai in giro?). Ma sentivano gli stessi doveri in modo diverso: Fortini è più militante e “persuaso”, mentre Cases inclina al dubbio e una punta di scetticismo non manca mai nel suo impegno.
Si ritrovarono sui “Quaderni piacentini” nel maggio-agosto 1965 a discutere di limiti dell'umano, di malattia e di morte, appena dopo la scomparsa di Ernesto De Martino. Cases diceva che la fine prematura di un individuo è una ingiustizia irreparabile, ma confidava, col Marx dei Manoscritti, nel comunismo come realizzazione dell'essere dell'uomo e riconciliazione dell'individuo con la specie. A questo punto le parti si invertono: Cases è il persuaso e Fortini il dubbioso. Cases rimanda a ere future: “chissà quanto probabili. Chi di noi sa? Chi corre la 'tentazione religiosa'?”, chiede Fortini.
In un punto, interpretando De Martino, Fortini dice: la perdita individuale può non essere assoluta negatività nella misura in cui altri ne assumono l'eredità e il senso, e più avanti cita Marcuse: “Gli uomini possono morire senza angoscia se sanno che ciò che amano è protetto dalla miseria e dall'oblio”.
Proteggete le nostre verità: è l'ultimo verso di Composita solvantur, l'ultima raccolta poetica pubblicata da Fortini pochi mesi prima della scomparsa. Nella introduzione a Tutte le poesie (Oscar Mondadori, 2014), Luca Lenzini ricorda che della eredità di liberazione collettiva balenata a tratti nelle rivoluzioni “la poesia di Franco Fortini non ha mai smesso di parlare” direttamente o indirettamente. E non ha mai smesso di parlare anche allo scetticismo e all'ironia di Cesare Cases, che, per esempio, a proposito di Walter Benjamin, oggi citato a proposito e a sproposito, diceva: “prediligo il Benjamin giornalista, radiofonico, quello che prendeva le cose alla leggera e non pretendeva di dar fondo all'universo [...]” (Intervista a Cases, a cura di Luigi Forte, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2006). Nella tradizione ebraica invece dei mistici e dei profeti preferiva “il grande razionalista Maimonide”, autore della Guida dei perplessi.
          Fortini morì nel 1994 e Cases gli sopravvisse undici anni. Mi piace immaginare che siano ancora da qualche parte a litigare su come tradurre un verso del Faust di Goethe.

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