Editoriale 2 Giugno 2020
La Repubblica della Costituzione
di Pietro Polito
2 giugno 1946, nasce la Repubblica italiana; 2 giugno 2020, l’anno della pandemia; 2 giugno 2021, la Repubblica compirà 75 anni. Concordo con quanti invitano a interrogarsi su come la pandemia incide e inciderà nella storia della nostra Repubblica. Da più parti, giornali, supplementi, televisioni, si dice che “nulla sarà più come prima”. La speranza, non so quanto ben riposta e soprattutto su quali basi fondata, è che un risveglio morale degli italiani dia vita a una rinnovata Repubblica.
Come saremo tra un anno? In quale Repubblica vivremo? Seguendo l’uso consolidato nel giornalismo, nel dibattito (chiacchiericcio) politico e nella storiografia di distinguere tra una Prima Repubblica, nata nel 1946, una Seconda, scaturita nel 1991 dalle ceneri di mani pulite, e una Terza, in realtà per ora a più riprese solo annunciata, ci si potrebbe domandare: “Dalla catastrofe o opportunità (lo dirà il tempo) della pandemia emergerà una Quarta Repubblica?”[1]. Anzi, a ben guardare, la domanda da porsi è questa: “Davvero, è auspicabile che nasca una nuova Repubblica diversa se non distante da quella disegnata nella nostra Costituzione? La risposta richiede che si risponda preliminarmente a una domanda storica: “Quali sono i lineamenti storici e ideali della Repubblica della Costituzione?”[2]
Nella sua ispirazione ideale la Repubblica della Costituzione si richiama ai grandi valori universali che hanno ispirato e ispirano il cammino delle donne e degli uomini di buona volontà nella storia: la pace, la libertà e la giustizia. La Repubblica della Costituzione è l’espressione della lotta combattuta per quei valori che sono interdipendenti tra loro e sono l’esatto contrario dei mali della guerra, dell’oppressione e del privilegio. L'ideale della pace è sancito nell'articolo 11: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; l’ideale della libertà personale nell’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; l'ideale della giustizia sociale nell'articolo 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Nella sua origine storica la Repubblica della Costituzione è antifascista. Essa nasce dalla Resistenza e contro il fascismo. A più di 70 anni dalla fine del fascismo storico dobbiamo prendere atto con preoccupazione che lo spettro del fascismo non è scomparso definitivamente dal mondo. Questa tesi è stata sostenuta da voci autorevoli come Pier Paolo Pasolini[3], Norberto Bobbio[4], Umberto Eco[5]. Segnalo che in questi giorni è stata ripresa dallo storico Carlo Greppi nel libro L’antifascismo non serve più a niente[6], in cui l’autore affronta e smonta il luogo comune espresso nel titolo. Ma perché dare al libro un titolo con il quale si afferma la tesi opposta a quella sostenuta dall'autore? Mi pare un aiuto inconsapevole al rafforzamento del luogo comune, un vero e proprio «mantra», preso in esame.
In un elzeviro dedicato al libro di Greppi, Attenti al filo nero liberticida, Luciano Canfora attacca le “penne variegate” che “hanno profuso sofismi e ben poca conoscenza storica per affermare che i fascismi non esistono più: premessa necessaria per poter proclamare l’inutilità dell’antifascismo”[7]. Opportunamente Canfora osserva che la tesi della persistenza del fascismo e dell’attualità dell’antifascismo non è sostenuta solo da estremisti e visionari (e, aggiungo io, da vecchi azionisti o eredi e cultori di quella nobile eredità). Sappiamo che il fascismo in senso storico, quello di Mussolini iniziato nel 1919 e caduto nel 1945, è morto per sempre. Certo, “quel che è accaduto cent’anni fa non si ripeterà. Non rivedremo le camice nere in giro. Ma che ci sia il pericolo di una deriva autoritaria è indubbio. L’autoritarismo esercita il suo fascino”[8]. Infatti, se ci riferiamo al “fascismo eterno” di Eco, non possiamo non mettere in conto che “la possibilità di avere un regime ultra-autoritario, xenofobo, razzista, peggiore del fascismo è presente, si è moltiplicata”; che “oggi il mondo moderno ha scoperto che si può avere un regime simile”; che “il fascismo si è modificato come un virus”; che esso “ha trovato un ambiente favorevole”; che, “dopo la pandemia, la prossima può essere un’epoca di fascismi”[9]. La Repubblica della Costituzione è l’argine più efficace al possibile ritorno del fascismo.
Nella sua ispirazione fondamentale, che le assicura un valore perenne, la Repubblica della Costituzione è democratica. Essa non è il punto d’arrivo, ma il punto di partenza verso una democrazia compiuta. Intendiamoci, per democrazia non s’intende soltanto il suffragio universale, cioè che tutte le cittadine e tutti i cittadini hanno il diritto al voto. La democrazia che la Resistenza ha scolpito nella Repubblica della Costituzione è l’ideale di una società fondata sulla giustizia e sulla lotta ai privilegi economici. Come ha osservato Bobbio, la guerra di liberazione, nella sua espressione più alta, è stata “una guerra democratica”: “C’era un'unità profonda tra i combattenti della guerra di liberazione non solo perché, come si va dicendo da chi ha interesse a spezzare quell'unità, eravamo uniti dallo scopo comune ma negativo di combattere il fascismo, ma anche perché eravamo sinceramente d'accordo sul modo di intendere la futura democrazia. Non volevamo una democrazia soltanto di parola, ma reale”[10].
Occorre rilevare, come potrebbe essere altrimenti?, che tra la Repubblica della Costituzione e la Repubblica reale lo scarto è andato aumentando nel corso degli anni. Ma non sto a fare per l’ennesima volta l’elenco dei mali che affliggono la nostra vita pubblica. Osservo solo che l’ideale della democrazia come giustizia sociale ha fatto pochi proseliti e ha incontrato molti nemici. La democrazia che è stata attuata in Italia è troppo spesso una democrazia apparente mentre la democrazia sostanziale non c’è nella realtà e continua ad essere scritta quasi esclusivamente negli articoli della Costituzione.
In un piccolo ma importante libro Tra due repubbliche nel 1996, Bobbio scrutava, tra “grandi speranze e grandi timori”, il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il filosofo lamentava allora che la sinistra non avesse risollevato la bandiera della «giustizia sociale», “che era sempre stata quella sotto la quale avevano percorso una lunga strada milioni e milioni di uomini e donne che avevano fatto la storia del socialismo”. Inoltre affermava di preferire “la severa giustizia alla generosa solidarietà” e proponeva che venisse posto all’ordine del giorno “il tema attualissimo, arduo, ma affascinante della «giusta società»”[11].
Ecco, giunti alla conclusione, penso che la domanda iniziale: “In quale Repubblica vivremo?” vada riformulata a questo modo: “In quale Repubblica vogliamo vivere, di qui a un anno, quando forse saremo usciti dalla pandemia?”. Con tutta l’anima diffido dei “cretini sorridenti”, vale a dire di “chi pensa che ieri eravamo tutti cattivi e domani, passata questa terribile prova, diventeremo tutti buoni”[12]. Personalmente mi auguro che la Repubblica che verrà rassomigli un po’ di più alla Repubblica della Costituzione. Credo di essere in buona e numerosa compagnia se dico che vorrei vivere in una Repubblica più giusta[13].
Note:
[1] Una periodizzazione possibile viene suggerita da Paolo Bagnoli, C’era una volta la Repubblica. Verso la democrazia verticale, Biblion edizioni, Milano 2014: “Il tempo politico che, con brutta e impropria definizione, si è detto «seconda Repubblica», è iniziato, per la precisione, il 26 marzo 1994 – giorno delle elezioni per la XII legislatura – ed è terminato l’8 maggio 2013, giorno nel quale, tramite le primarie del Pd, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è divenuto segretario del partito” (p. 11) La letteratura su questi temi è sterminata. Per cominciare suggerisco: Carmine Donzelli (a cura di), Lezioni sull’Italia repubblicana, Donzelli, Milano 1994; N. Bobbio, Verso la Seconda Repubblica, La Stampa, Torino, 1997; Guido Crainz, Autobiografia di una Repubblica, Feltrinelli, Milano 2009; Nicola Tranfaglia, Anatomia dell’Italia Repubblicana 1943-2009, Passigli Editori, Firenze 2010;
[2] Carlo Smuraglia, con Francesco Campobello, Con la Costituzione nel cuore. Conversazioni su storia, memoria e politica, edizioni Gruppo Abele, Torino 2018.
[3] F. Colombo, G.C. Ferretti, L’ultima intervista di Pasolini, Avagliano Editore, Roma 2005.
[4] N. Bobbio, Eravamo ridiventati uomini. Testimonianze e discorsi sulla Resistenza in Italia, a cura di P. Polito e P. Impagliazzo, Einaudi, Torino 2015.
[5] U. Eco, Il fascismo eterno, La Nave di Teseo, Milano 2017.
[6] Laterza, Roma-Bari 2020 (nella collana “Fact Checking).
[7] L. Canfora, Attenti al filo nero liberticida, “Corriere della Sera”, giovedì 21 maggio 2020, p. 41.
[8] F. Filippi, Liberiamoci dalla nostalgia del fascismo, intervista a cura di Paolo Griseri, “la Repubblica”, domenica 24 maggio 2020, pp. 32-33. Viene annunciato il libro di F. Filippi, Ma perché siamo ancora fascisti?, Bollati Boringhieri, Torino 2020.
[9] Ibidem. Così Paolo Mieli in apertura del programma Atlantide, La 7, 22 aprile 2020.
[10] N. Bobbio, Eravamo ridiventati uomini, cit., p. 48.
[11] N. Bobbio, Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana, con una nota storica di Tommaso Greco, Donzelli, Roma, 1996, pp. 137-138.
[12] Alain Finkielkraut, La bellezza vive senza mascherina, “Corriere della Sera”, sabato 23 maggio 2020, p. 31.
[13] “Non è ancora tempo di bilanci e di processi. Ed è inutile esercitarsi nell’immaginare quanto sarà grande il buco che il devastante passaggio del Covid 19 ci lascerà in dote. Sarà enorme, questo è certo, e dividerà ulteriormente il Paese in due: sommersi e salvati, con larga prevalenza di chi pagherà un prezzo insopportabile all’onda anomala che ci ha travolti. I prossimi mesi ci faranno capire meglio l’entità della divaricazione della forbice sociale e anche le sue conseguenze che avranno effetti non ancora del tutto prevedibili”. Cito da Carlo Verdelli, “l’Unità”. Fondato da Antonio Gramsci nel 1924, a. 97, n. 1, sabato 23 maggio 2020, p. 1. “A distanza di un anno dall’ultima volta, oggi l’Unità è di nuovo in edicola. Non è una rinascita o una ripartenza, è soltanto il numero speciale che l’azienda ha fatto (come nei due anni precedenti) per evitare la decadenza della testata”. (Dal comunicato dei giornalisti, p. 1).