Cronache culturali - 05/20
Gli occhiali della cultura
di Pietro Polito
Credo nella forza mite della cultura che goccia a goccia scava la pietra. Questa mia persuasione continua ad animare la discussione tra gli scettici e i fiduciosi nella possibilità della cultura. Anche se in cuor mio, sarei tentato di dar ragione a chi scrive che “in una situazione complessa e di grave crisi appellarsi alla cultura è un atto nobile ma inutile”, se non si procede a “(ri)teorizzare una politica culturale” e a “metterla in pratica attraverso un’azione politica”, preferisco invece che si rafforzi, si affermi e trovi nuovi seguaci l’idea che “dare voce alla cultura è sempre e comunque un richiamo importane perché c’è sempre bisogno di riflettere su ciò che siamo come attori di una continua cultura in evoluzione che non può prescindere dalle nostre relazioni con gli altri e con il mondo”.
Francamente non credo che “non possiamo che osservare e proteggerci” perché la cultura o è relazione o non è. Anche se, come è probabile, nei prossimi tempi se non fino alla primavera del 2021, si sposterà sul digitale. Attraverso la cultura tra le persone si stabilisce “una buona atmosfera”. Ciò che più ci manca in questi giorni è l’atmosfera di via Fabro 6, dove è possibile rivivere, e ne siamo orgogliosi, “una freschezza ricca di possibilità” che si ispira alla “adolescenza aperta” di Gobetti. Ai suoi tempi Gobetti dialogava intensamente e proficuamente con Gramsci. Il nostro richiamo gobettiano al gramsciano pessimismo dell’intelligenza e all’ottimismo della volontà è un invito a saper coniugare “la razionalità che conduce al pessimismo” con “la volontà del fare”, “traendo spunto da ogni situazione, anche negativa, per sviluppare nuovi percorsi di pensiero e di attività”.
In particolare, faccio mie le parole fiduciose di un amico di antica data a cui sono legato per formazione e ideali comuni: “La cultura certamente ci aiuta, ci guida, ci orienta, ci permette di leggere nelle cose che stanno accadendo, là fuori, ma anche dentro di noi, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nella nostra mente. Penso che nonostante tutti i pessimismi possibili, la cultura vinca sempre, perché ancora prima che scavare nella pietra è la cultura che ci permette di avere gli occhiali giusti per capire dove poggiare i nostri piedi e quali sentieri percorrere”.
So bene che c’è chi ritiene che siano più efficaci e lungimiranti gli occhiali della politica, a maggior ragione in uno stato di eccezione come quello che stiamo vivendo. Non a caso “Schmitt è ritornato a galla, con ogni evidenza, in maniera prepotente”. Come so che c’è chi, di fronte al silenzio di una cultura muta che non riesce ad alzare la voce, pronunciando parole significative, auspica un ritorno del ruolo della religione nella società[1]. Il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio invita i suoi lettori ad affrontare “le nuove prove che ci aspettano” nella fase 2 “con coraggio e con saggezza”, “attingendo alla grande riserva di bene rappresentata dalla vita di fede che, per noi cristiani, è anche vita comunitaria e sacramentale”[2].
Gli occhiali della cultura che qui si propone di adottare sono quelli del pensiero laico. Per cultura s’intende ciò che Norberto Bobbio scriveva in Politica e cultura, all’inizio del suo celeberrimo Invito al colloquio: “Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva”[3]. Dalla concezione della cultura come misura, ponderatezza, circospezione deriva che “il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccoglier certezze”, perché “di certezze rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma sono piene, rigurgitanti le cronache della pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati”[4].
Direi che la lezione di Bobbio, maestro del dubbio, ci serve ancora. Infatti, che cosa è oggi l’impegno rigoroso della scienza a contrastare il dilagare delle fake news se non l’eterno riproporsi della lotta tra conoscenza e propaganda? In questa direzione va la proposta di Carlo Ginzburg di adottare la “distanza” come metodo cognitivo e morale nel campo della storia[5]. Alla scuola di Bobbio, la cultura è chiamata a far valere “i diritti del dubbio contro le pretese del dogmatismo”; “i doveri della critica contro le seduzioni dell’infatuazione”; “lo sviluppo della ragione contro la cieca fede”; “la veridicità della scienza contro gli inganni della propaganda”[6]. Nel tempo delle troppe domande senza risposta, prima ancora che le risposte, la cultura è chiamata a cercare le domande da domandare.
L’auspicio è che la forza mite della cultura scalfisca la pietra dura del dogma, che è dura a morire, come mostrano le cronache odierne ai tempi dell’ultima crisi (quella finale?) che ci sta conducendo a un passo dalla catastrofe. Forse ne stiamo prendendo coscienza. Ma c’è una enorme differenza tra il prendere coscienza prima della fine e il prendere coscienza dopo la fine. L’antitesi tra frattura e integrazione ha assunto la forma estrema del contrasto tra distruzione e costruzione reciproca. Assistiamo sgomenti allo scontro aperto tra presunti interessi nazionali e o di parte e una auspicata e auspicabile coscienza di specie[7]. Dominano improvvisazione, dilettantismo, propaganda, interesse, cedono il passo, o almeno stentano a farsi ascoltare, cura, competenza, conoscenza, disinteresse, altruismo, generosità.
Tra i troppi dubbi e le poche certezze che abbiamo di fronte alla pandemia, alcune questioni cruciali appaiono imprescindibili e richiedono scelte misurate, ponderate, circospette, se pure revocabili, mai perentorie e definitive. “Che cosa ci aspetta?”; “L’estate aiuterà a ridurre il contagio?”; “E in autunno ci sarà una seconda ondata?”[8]. E ancora, guardando un po’ più in là: “Come sarà la nostra vita all’inizio del 2021?”. Come osserva la virologa Ilaria Capua, “sono tante, tantissime le cose che non sappiamo e su cui molti si interrogano e purtroppo la scienza ha tempi lunghi, lunghissimi per arrivare alle sue certezze relative. Un mare di incertezza ci avvolge e ci disorienta”[9].
Se ci si appella alla veridicità della scienza, senza cedere alla propaganda, qualche punto fermo è stato acquisito: 1. sappiamo che il contagio arretra con il distanziamento fisico e sociale, unito a rigorose misure di igiene personale; 2. la pandemia può essere sconfitta solo con il vaccino; 3. questo non sarà disponibile in tempi brevi. Purtroppo, le cose oscure sono più di quelle chiarite, le troppe presunte verità sbandierate nei talk show televisivi in realtà sono opinioni, i dati scientifici accertati sono ancora pochi[10].
Ma un’altra cosa la sappiamo, che molto dipende dalla nostra responsabilità individuale: “Ci aspetta una riflessione personale. Per forza di cose dovremo ripensare ai nostri regimi organizzativi e intrattenitivi”[11]. Mentre c’è chi pensa che accoglieremo con una mentalità nuova, diversa, i grandi cambiamenti che arriveranno sul fronte del lavoro e delle relazioni sociali e che sapremo cogliere le nuove sfide e opportunità che nasceranno dal vuoto di oggi, personalmente mi accontenterei che, quando questo anno orribile sarà passato, non ci ritrovassimo in un Paese, né peggiore né migliore, improvvidamente, stolidamente, eternamente uguale a se stesso.
Note:
[1] Tra gli altri il Cardinale Gianfranco Ravasi, Dopo il trauma è il tempo della rinascita, intervista a cura di Paolo Rodari, in “la Repubblica”, a. 45, n. 94, domenica 19 aprile 2020, p. 33.
[2] M. Tarquinio, Con coraggio e con saggezza, “Avvenire”, a. LIII, n. 105, domenica 3 maggio 2020, p. 1.
[3] N. Bobbio, Politica e cultura (1955), Introduzione di F. Sbarberi, Einaudi, Torino 2015, p. 3.
[4] N. Bobbio, Politica e cultura, cit., p. 4.
[5] C. Ginzburg, Occhiacci di legno. Dieci riflessioni sulla distanza (1998), Quodlibet, Macerata 2020. Vedi Christian Raimo, La realtà si vede meglio da lontano, “tuttolibri” – La Stampa, sabato 25 aprile 2020, p. XIX e l’intervista allo storico, a cura di Andreas Iacarella, Ginzburg a caccia di fake news, in “Left”, n. 16, 17 aprile 2020, pp. 50-55.
[6] N. Bobbio, Politica e cultura, cit., p. 4.
[7] Marco Bascetta, Coscienza di specie contro interessi nazionali, “il manifesto”, a. 50, n. 65, domenica 15 marzo 2020, pp. 1-8.
[8] Giuseppe Ippolito, “Solo la responsabilità di tutti noi può evitare una seconda ondata”, intervista a cura di Margherita De Bac, “Corriere della Sera”, a. 145, n. 104, venerdì 1 maggio 2020, p. 14.
[9] Ilaria Capua, Le stime sul virus? Tutte sbagliate. Certezze e dubbi sulla pandemia, “Corriere della Sera”, a. 145, n. 88, domenica 12 aprile 2020, p. 13.
[10] “Il Sars-Cov-2 è un grande sconosciuto, una immensa incognita che pesa sul nostro futuro e di cui sappiamo poco, molto poco. A oggi sono, infatti, più i punti interrogativi che le risposte certe che la scienza è in grado di dare su questo nuovo virus”. Cfr. Sergio Harari, Letalità, mutazioni, sintomi. Del virus la scienza sa poco, “Corriere della Sera”, a. 145, n. 106, martedì 5 maggio 2020, p. 11. L’autore è il direttore dell’Unità operativa di pneumologia del San Giuseppe di Milano.
[11] Ilaria Capua, Le stime sul virus? Tutte sbagliate. Certezze e dubbi sulla pandemia, cit., p. 13.