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Chiave di lettura - Carteggio tra Pavese e Enrichens (Massimo Novelli)

Il Carteggio tra Pavese e Enrichens

di Massimo Novelli *

 

L'ultima lettera di Cesare Pavese a Nicola Enrichens, direttore didattico a Santo Stefano Belbo, il paese natale dello scrittore, porta la data del 6 luglio 1950, un mese e mezzo prima del suicidio. Aveva appena vinto il Premio Strega con La bella estate. Da Torino, su carta intestata della casa editrice Einaudi, scrive: "Caro Enrichens, la ringrazio del suo telegramma. Troppa degnazione per una faccenda pettegola e mondana come lo Strega. Come ho già scritto agli amici di S. Stefano, verrò presto a trovarvi, entro il mese. Arrivederci e grazie ancora Pavese".

Con la lettera del 6 luglio si interrompe la corrispondenza fra Pavese (1908-1950), che si apprestava a chiudere per sempre con il "mestiere di vivere", ed Enrichens (1915-1983), che la guerra aveva portato in Piemonte, dalla sua Contursi Terme, in provincia di Salerno, e che dopo l'8 settembre del 1943 aveva aderito alla Resistenza. Si erano conosciuti nel giugno del 1949. Non furono un'amicizia e uno scambio epistolare di poco conto, se Italo Calvino, il 16 giugno del 1964, scrisse al dirigente scolastico: "Le lettere a Lei sono molto importanti, perché con Lei Pavese s’era messo a discutere delle cose che gli stavano più a cuore, fatto che non gli succedeva quasi con nessuno".

A citare la lettera di Calvino è Mariarosa Masoero, la studiosa torinese che ha raccolto il carteggio inedito fra lo scrittore di La luna e i falò e il maestro, curandone la pubblicazione. Con il titolo "Noi non siamo come i personaggi dei libri". Carteggio (1949-1950), il libro esce in questi giorni per le Edizioni dell'Orso di Alessandria (pagine 123, euro 18) nella collana del Centro interuniversitario per gli studi di Letteratura italiana in Piemonte "Guido Gozzano- Cesare Pavese"; è corredato da alcuni scritti in versi e in prosa di Enrichens e da una postfazione del magistrato Paolo Borgna, autore, tra l'altro, di una bella biografia di Alessandro Galante Garrone.

Pavese ed Enrichens si erano incontrati a Santo Stefano Belbo, rammenta la Masoero. Il direttore didattico, una sera, "all’Albergo della Posta, vide un bambino che strappava le pagine del romanzo di Pavese Paesi tuoi e le bruciava in un camino. Gli si avvicinò e gli disse: 'Lo sai che quel libro lo ha scritto un tuo compaesano?'. Decise allora di cercare qualche parente dello scrittore e, tramite la cugina Federica, strinse amicizia con il capitano Eugenio Pavese. Insieme decisero di invitare lo scrittore a tornare a Santo Stefano Belbo. Pavese accettò l’invito e nel giugno del 1949 Nicola Enrichens lo incontrò per la prima volta a casa del suddetto cugino". Da allora "le visite si ripeterono. Enrichens accompagnava Cesare tra i filari delle viti, sulle colline, dove facevano lunghe passeggiate: proprio allora Pavese iniziò a scrivere La luna e i falò".

Il carteggio si apre con una lettera di Pavese, al quale Enrichens aveva mandato un suo libretto di poesie. Il 16 giugno del 1949, con la consueta franchezza, gli fa sapere che "pur tra enormi difetti, la Sua voce è sincera". E prosegue: "Ma questa Sua ingenuità espressiva non è, in tempi di furberia stilistica come i nostri, priva di pregio". Menziona poi Guido Gozzano, "che è un gigante di stile". Il direttore didattico gli chiede consigli letterari e libri, gli sottopone i suoi testi, non nasconde la sua opinione sul Pavese uomo, come il 16 novembre del '49: "Lei deve aver molto sofferto la solitudine, e questo si sa anche dal fatto della Sua avventura del confino"; e aggiunge: "Sono rimasto meravigliato della Sua concezione della vita, che in me, come Le ho detto, varie volte assume aspetti negativi, pessimistici". Pavese si dilunga a scrivere, si apre, dialoga, polemizza. Il 26 luglio '49 gli dice: "Noi in Italia siamo oggi provinciali; tutti i concetti che reggono la nostra vita politica, scientifica, filosofica, ecc. sono di origine straniera (democratismo, idealismo, storicismo, ecc.): non c’è altro da fare che studiare bene questi campi e capirli criticamente, invece di accettarli bell’e dissodati dai giornalisti, e illudersi di essere così dei romani antichi. La cultura italiana oggi non esiste: esiste una cultura europea, se non mondiale". E, qualche mese dopo, gli scrive: "Tranquillizzi sua moglie: Lei non diventerà comunista… io stesso lo sono molto sui generis".

Il 27 agosto del 1950, a Torino, Pavese si uccide. Nell'aprile del '51,Enrichens scrive all’editore Einaudi per proporre un premio letterario intitolato all’amico scomparso: "Le scrivo per proporLe di lanciare un premio letterario, da conferirsi ogni anno in S. Stefano Belbo, nell’anniversario della morte del compianto Cesare Pavese, di cui ero amico". Però non se ne farà niente per decenni. 

 

* L'articolo pubblicato su "Il fatto quotidiano", 9 settembre 2020, p. 18.

 

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